Bistrata
di nero sotto una frana
di
addobbi, ammicca alle vetrine
a
mostri di plastica, la città
in
ginocchio come un albero
di
Natale
In
corso Umberto su banchi
di
vendita tra mercanzie
natalizie,
c'è chi compra
"frasi
d'amore"
2.
Parole
Una
lampada solo che cerchi
nella
notte obliqua
-datemi-
una
parola che sia
Come
il nettare all'ape
la
scaturigine al rivo
la
luce al sole: a sé
bastevole
sia. Parola ancora
caverna
del cuore, luogo
del
respiro stesso della terra
Vedo
bianche parole di luna
salire
sulle gole dei monti
nei
silenzi delle voci
E
farsi rutilanti nel clamore
del
giorno, enfiate nei vortici
neri
di fumo, issate tumefatte
su
altri stendarti, legate
a
multicolori bandiere
inchiodate
su tavole di carta
Su
maschere di volti incise
Larve
di parole a ornare
corrusche
come pietre reticolati
di
sangue. Parole
vendute
sui banchi delle sinagoghe
e
in lotta ancora col vento
sui
pinnacoli dei templi
Vanno
su prati paonazzi
sverginate
parole
accecate
nel sole. Cercano
resurrezione
Dove
un umile poeta
che
ancora possa darle alla luce?
3.
Pasta di sale
Pasta
di sale per giocare, pane
di
mare per modellare sogni
di
forme varie, sogni ponderali,
tinteggiati
e inscatolati,
sogni
senza speranze: le nostre piste
brevettate,
ribaltate su cieli
a
portata di mano per questi
figli
dagli occhi bassi.
Pasta
di sale cementata
per
termitai di città tentacolari.
Il
sole a volte si apre incunaboli
tra
capi chini, vanga rigogli
di
spighe e ne fa cirri di fiamma.
Così
uno di quei giganti
si
è sciolto in piedi come pasta di sale.
Nell'empio
petto cementato
ha
soffocato come un sussulto
rossi
aneliti di sole e di vive
creature.
A
cercare ragioni tra ordigni
di
morte si aggirano in tanti;
i
loro son passi che calcano sabbia
non
hanno memoria
Nelle
città tentacolari
anfitrioni
cordiali brandiscono
stelle
filanti e fuochi artificiali:
annunciano
se stessi
battono
le mani anche quando
fumigano
nere di petardi
Altri
portano addosso come fasce
d'onore
certezze blindate; sfilano
in
corteo, innalzano stendardi,
contrade
spiegate di nuovi stendardi;
non
vedono che il vento se le porta via.
C'è
qualche poeta
nelle
notte migliori, è quel cane
randagio-
se ne trovano ancora?-
che
latra alla luna.
4.
Luna rossa
L’occhio
va al pulcinella, al filo
che lega
la sua bellezza
ma sulla
faccia tonda della notte
la mezzaluna
pencolante ha steso
un lungo
strascico brulicante
di plancton
siderale, forse uno sciame
di lucciole
serrate in folle danza,
deliranti
di vita.
Mi sta di
fronte la notte,
una come
tante,
ferma e
silenziosa.
Vigila
materna
sotto il
ciglio di luna
turgida
di luce.
Il tuo
volto
in me
si dilata,
concavo e vuoto
come prateria
di tenere acque
5.
Accordi
Lo porto
con me per via
quando
riprende il suo pianto
perché
il vento lo culli
il mio
dolore.
6.
Incontro
Mi portavi
al mare
in
carrozzella
–raccontavi-
che avevo
due anni, io e te soli
e avevo
gridato quel giorno
di dolore
ché ti eri allontanato
di qualche
passo a riempirmi
di acqua
il secchiello:
temevo
mi avessi abbandonata.
Riprenderemo
da quell’incontro
ad andare,
quando anch’io
avrò
lasciato le cose.
Avrà
fine allora il grido
del cuore
al chiudersi di tutte
le ferite
e nelle tue mani
il Padre
avrà versato
ad una
ad una in questi
lunghi
anni di attesa
le Sue
parole di amore.
7.
Rosso vestito
Ho
spiegato
orizzonti di sole
che un
rosso vestito
di tenera
garza lasciato
a tramandare
in fondo al cassetto
memorie
di giovinezza.
Si sono
riaperte strade
di luce
strappate al mare
Palau,
Cannigio, Positano…
vive
come ciottoli
bianchi.
8.
A Julia
Mi chiedo
chi sei tu leggera
venuta
a posarti nella mia vita
come boccio
di fiore d’arancio
spiccato
dal ramo.
dolciore
d’autunno.
Non sei
l’evanescente farfalla
che sul
pulviscolo danza
in
schermaglia
coi raggi del sole.
Se mai tu
occhieggi sulle rocce
come il
granchio, frutto di mare,
risuoni
come una cava conchiglia
che fiata
di bora salina.
Mi scruti
spoglia di parole,
ferma e
buia come castagna
sotto la
brace.
Sei il
ceppo
dell’oggi che vive,
che i miei
occhi accarezzano,
la scorza
dolceamara del legno
che a
sé
mi lega.
Se volgo
indietro lo sguardo
vedo una
culla che si dondola
vuota,
l’ hai tu relegata in soffitta,
con un
ruvido tuo cipiglio.