VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Mario Lunetta

   

1- Chapeau
2- Capestrano
3- Niente
4- 10 haikai augurali



1- Chapeau

Roma mi guarda col suo occhio strabico,
da un insieme di distanze incalcolabili, di labili
percezioni, di cancellazioni, di nulla: col suo occhio
strabico stracotto ch’è una rosa di stoffa, gialla,
sporca di rossetto, e ora simula una stolta margherita
dello stesso colore tubercolotico, e si lascia
stringere nella notte che cresce tra cielo e cristallo
-superficiale vanità- da un nastro assai poco astrale
di carta plastificata blu, dentro un vasetto Deruta.

Roma fa prove di sopravvivenza nella notte, con funesto
scialo di lampi, donne svampite, squagli
di cioccolata, mutismi da tagliagole. Affonda
nell’onda del suo ombelico di pietra dolce, è un manichino
moltiplicato che mi guarda col suo occhio strabico, cadendo
in una pozzanghera con tutta la sua flotta
sbandata che passa da un ritardo all’altro senza mai
approdare a un castello giusto.

Roma mi fissa in francese, e non mi vede, col suo grande
visage tumefatto: e si sogna in un caffè storicamente
determinato, in un pezzo di Rinascimento postmoderno, indossando
scarpe di coccodrillo miliardarie e reliquie
che le permettono più di un pentimento, di una
lacrima elettronica, un singhiozzo: mentre
con qualche chilo di goffaggine più del necessario
mi muovo, vecchio ippopotamo cieco, e mi congedo
da quasi tutto. Chapeau.
     (novembre 1997)
 

2- Capestrano
per Francesco Manzini
 
a-
Il mondo, parmi, si fa beffe di noi. Francesco amico
così poco francescano che ti muovi
nella pittura come una foresta tropicale
allagata di cemento, con guizzi felini, velocissime inerzie,
acredini mielate, ansietà notturne (o mattutine), decisioni spaziali
di geometria  implacabile, in quest’ombra che acceca.
b-
Ma il mondo è stupido, lo sai. Crede ai fantasmi
e non li crea. Noi, in compenso, ci nutriamo di carne umana: della nostra
carne corporale e mentale, di una fedeltà
portentosa a un’ossessione che non si polverizza.
E poi, tu ridi: nella bufera
e nella festa, col tuo bravo sarcasmo
inaddomesticabile: e metti in scena
il rovescio delle cose, albe illividite dei pensieri
che non camminano.

c-
Così Francesco, respiri il tuo smog, che è lo stesso
del mio: di me che amo le tue figurazioni, le tue
cancellazioni, i tuoi marasmi sanguinosi, dentro
una terra abolita. Mordi la lana
dei nostri abiti: ne uscirà solo pus, e qualche rivolo
di memoria desolata. Ma lo spazio bloccato
dei tuoi quadri è uno squarcio esterrefatto nella cancrena
quotidiana, una crasi nella sordità della vita
che non vive se stessa.

d-
Ascolto la tua pittura parlata. La sento come un rombo, o come
un fraseggio leggero. Tratti
con la distanza appassionata di un esploratore
senza speranza, lungimirante e cieco, una materia
sordida e sottile: e ne fai, in ragione di sincopi
fondamentali, un grande, misterioso registro di attenzione.
Questo è respiro e mano.questo è rètina e gioco
Che scherza con la morte.

e-
La tua, Francesco, è una scrittura bustrofedica
che si fa apparizione capestrana: e ora, qui, oggi, in questa
giornata di nembi senza furore, immersa
in una bolla di vuoto, ti saluto
con solitudine fraterna: tu chiudi gli occhi
sotto l’ala del tuo cappello di feltro a falde larghe, e insieme
chiediamo chissà cosa al guerriero
venuto da un qualche illocalizzabile pianeta sotterraneo
nel suo buio radiante,
col suo enigma.
 

3- Niente

Tutte le epoche e le ere, tutte le cronografie, le secolarità, i millenari spazi,
le inclinazioni del vivere sincopate e lentissime, sono stati attraversati
in un unico turbine dai saggi e dai mentecatti, con estrema pacatezza
o velocità delinquenziale, mentre il vino maturava nelle botti di rovere.

Tutto ciò che è connesso al fluire degli anni e al morso dei giorni che non
         perdonano,
tutto quello che resta delle cronologie autentiche e di quelle manomesse,
vizi, virtù, splendori, insufficienze, insomma tutto  quanto scola dalle fessure
di Crono, tutto ciò che egli defeca o vomita o semplicemente rifiuta, tutto
(o quasi) si legge ormai su questa mappa delle segnaletiche usurate, piatta,
di un unico colore, simile solo a se stessa. E’ la mappa del niente, e di niente
parla, nel suo silenzio che non è silenzio, nel suo fragore che è solo afasia.
 

4 – dieci haikai augurali

Incenerita
violenza della luce
dentro le nubi.

Brilla la neve
al bacio della luna,
casto inatteso.

Era la linea
della collina muta:
era la morte.

Nella tormenta
ululavano i lupi
di quel sorriso.

E’ la campagna
uno scenario d’ombre,
ma lampeggiante.

Verde sipario
grigio d’alberi e rovi,
là, nel Cerreto.

Si stacca netto
il falchetto vorace,
ed è scomparso.

L’acqua matura
con la forza del vino,
dentro le polle.

Chi nasce grida.
Chi sceglie la parola
abita il vuoto.

Orme non vedo.
Non odo voci. Tutto
si spegne in niente.


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