1.
La vita si scandisce limpida
Tenta
il volto fiorito
di
donna - aereo - il rosso purpureo
del
prelato che, ammiccante,
dialoga,
poi,
campeggiando al centro
stimola
fantasie
e
disegna orizzonti lontani.
E
rimira oltre.
Oltre.
(Nel
gazebo rotto dagli inviti
e
dalle domande
troneggiava
quasi
a custodia del pensiero
che
ricercava le origini,
nel
tempo s’inseguiva a delineare
il
disegno perfetto di un intreccio
di
verdi e rossi squillanti
tra
baluginii di promesse
forse
si tentava la sorte:
la
storia
che
per farsi modus vivendi
abbisogna
sempre -
dell’Oltre).
Fecondità
di donna
pure
emerge ovattata
si
disveste - nudo il dorso -
ammiccando
di gioia
nel
suo essere pudica,
negandosi
alla fonte
del
desiderio che s’allontana,
al
di là dei sogni che bruciano
negli
occhi dell’antico Leone
dormiente,
nelle
mani le tavole della Legge
sui
destini degli umani.
(Allegorie
del sogno
o
sogni di una allegoria?).
La
vita si scandisce limpida
alle
foci dei fiumi, e noi
ingemmiamo
di mirto
il
respiro del mondo.
2.
Radi setacciano i gabbiani
Radi
setacciano i gabbiani
a
filo le bianche vestigia
e
madreperlano l’orizzonte.
Si
alzano nenie pastorali
e
donzelle volteggiano ai bordi
con
negli occhi la magia
di
una musica che si spegne assorta;
da
troppo tempo abbiamo dimenticato
i
ritmi e le cadenze di questi liuti
per
poterli ora ripetere. E il vento
goffeggia
tra gli arbusti grigiastri
camuffandosi
come un istrione.
Qualche
scalpitio trasale da chissà dove
certamente
il convito altrove
e
pure i banchetti e i suoni;
così
la rutilante luce
che
segna l’orizzonte
è
un rosso che non lancia auspici.
Tutto
intorno si infiamma e ombre
lunghe
camminano invadono calpestano
la
distesa delle acque.
3.
Le stagioni sono cambiate
Le
stagioni sono cambiate
i
ritmi i costumi. Tutto.
Oh!
il mare. Oh! il mare.
Leggere
fluttuano le acque
e
al di sopra l’Apostolo
inizia
a benedire la folla
l’onda
si allunga
si
allarga
si
flette
si
genuflette
si
inorgoglisce
si
irrobustisce.
In
nome del Padre
del
Figlio
e
dello Spirito Santo.
Il
mare.
Il
mare.
4.
Secondo seno (I)
Qui
attesto e certifico
la
mia nascita dal fiore
salmastro,
e mi dilungo
a
bisbigliare fra i canneti
il
sogno dei tempi.
C’è
sempre qualcuno che finge
o
tace la verità, ma la memoria
esiste
per questo, per scrivere
dello
sguardo vetusto lasciato
a
mezz’asta sui torrioni dell’Aragonese.
5.
Secondo seno (II)
In
due ti spacchi per denudarti
come
melagrana e con te convolo
a
nozze e ascolto l’eco prolungata
delle
tue onde alla rada dove il ponte
di
comando si anima di allegre voci.
Dalla
mia stanza ti parlo
e
ti sento compagno attento
nel
battito levriero che serra
stretto
i simulacri dell’ora.
6.
Secondo seno (III)
Perché
il cielo incendi e
circondi
il bianco tuo seno
non
so ancora, eppure mi stendo
tra
i fuochi del cielo specchiato
e
lascio che il sangue scorra
come
pioggia fluente e si nutra
del
miracolo propiziatorio.
E
negli occhi mi salgono
a
fiotti il ricamo delle ortensie
e
tutti insieme vibriamo
e
tutti insieme cantiamo.
7.
Secondo seno (IV)
Qui
soppeso il destino delle maree
e
chiamo a raccolta il cuore
perché
le tue acque vibrano
di
conchiglie dai suoni melodiosi,
e
i pensieri che sanno di spiagge
finiscono
per ornare i miei capelli.
Più
oltre la Marina, sottobraccio,
si
accendono le lampare e nella
nudità
della luna, le mani sanno
il
tempo e il vento della semina.
Galleggia
argenteo il delfino.
8.
Secondo seno (V)
L’ebbrezza
di toccarsi, di nascere
e
nel tuo abbraccio svegliarsi
dipinti
dalla luce dei flutti;
ecco,
posso tendermi, lanciare
la
mia freccia e ignorare il dolore
e
magari stendermi al fiume
per
domandare ancora la dignità
del
Galeso e della sua brezza.
9.
Secondo seno (VI)
Con
gli occhi mi prolungo,
meglio
registro il cammino,
e
se davanti mi sfilano messaggi
di
tribù industriali, io ti saluto
col
volo alto dei gabbiani.
Non
ho paura del vestito grigio
né
dei suoni offuscati, dentro
mi
vivo la magia del tuo fluire,
la
flessuosità rotonda del sole
che
si tuffa a picco, ancora,
sempre,
prima di andare a dormire.
10.
Secondo seno (VII)
E
ti festeggio ancora
dalle
schiume verdi degli eucalipti,
lanciando
memorie
messaggi,
richiami,
vestito
di bianco,
piumato
come un sogno
e
sento che tutto marcia forte,
come
una fanfara a trombe spiegate
e
la luce che infiamma di qua,
di
là, la nascita del silenzio.
Il
mare.
Il
mare.
11.
La valle dei Mòcheni
La
valle dei Mòcheni
Difficile
costruirsi
un’anima
sorretta da assicelle
si
tenta scardinare l’ingresso
soffiandovi
tentazioni e chiamando
a
raccolta il buio che governa
dall’alto
della sua onnipotenza:
Dio
che cammina a folate lunghe
sui
dirupi delle domande,
rena
che sbrilla al sole della paura.
E
dirsi poi come mai
il
monte si slabbra arcigno
narrando
tra storia e leggenda
la
sicumera del vento che
orgoglioso
nella valle sparge
il
profumo dei gerani solitari.
Insegue
il tuo ricordo:
smagliata
luce di inconsueto
e
brucia sanguigno il seme
rigeneratore
dei miti e dei templi
-
gli eroi conservano
il
loro sangue nobile -
(ti
scopro nuda come il seno
di
una fanciulla all’argine del fiume)
ancora
parlarsi
inumidirsi
le labbra per rinnovare
il
brio delle parole nascenti
per
noi nascondigli braccati
dalle
volpi che ne conoscono
una
più del diavolo;
nessuna
traccia da rimuovere
o
pensieri da auscultare, troppa
luce
inonda le pupille
per
azzerare il capriccio della sosta
(salsedine
si sbriciola ancora
dalle
narici per non tacere
la
fonte da cui si giunge)
ti
ho pensata, luminosa:
il
mio volto
in
te rinverdito
si
estenua il momento
e
si trascura anche il volo dei passeri
(la
luna è umida, candida veste
germoglia
acini bianchi
sugli
strapiombi)
io
che non ho saputo costruirmi nulla
resto
appeso
isolo
batteri per darmi un nido
e
mirandoti da lontano
nel
mutarsi dei segni
lancinanti
guato
l’evento che di là s’approssima
memore
di quanto accaduto
-
l’ieri
che
è domani
ci
costruisce sempre una nuova fioritura:
un
odoroso prato di acacie.
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