Or con l’avvenuto tardo lauro
Su
quel
sofà mai visto
L'auto
ci strania vorace
E’
a san
pietro in montorio
Dite
voi
taciturni padri
Il
fan
di cartoncino bristol
In
laude
di dama que lauda, comma 4
Della
nuova guerra
Di
quell’inghippo
losco
Il
sacco (versione
6.1)
E
in cielo
quasi di sé sfarinando tracce
Quercianella
Un
lamento
alle forze di polizia
Globalizza
e contesta
Doppio
sogno
ricordavi
le
parole di borges
Arsenio
A
volte
Al
colloquio
Annunciazione
dell'Arcangelo Gabriele a Zaccaria
Eroe
dell'
uno
Traduzioni
e variazioni
Quattro
poesie
Or
con l’avvenuto tardo lauro
or con l’avvenuto tardo
lauro
sguaino il
plico e non mi so
valvassore
più di tanto.
non credo rideranno le maestrine
buone dell’inavvenuto
cambiamento,
che le faccette/voto
stampigliate in compitini
lasciavano
presagire. si era
prossimi geni, allora che avveniva
l’apprensivo
trapasso dal bianchennero
al colore e
il sorriso
coronava la coniugazione
a un futuro anteriore
piucchepperfetto.
or con
l’avvenuto tardo lauro
impiastricciando il certificato
dello stato, la maestra
in carta
pecora dirà
e ora
chessenefa dotto’
?
Su
quel sofà mai visto
su quel sofà mai visto
prima
che viveva di
stoffa dura
come rigidita
da un cartone
di vetro
soffiato, in
quell’aria rada
da famiglia
allargata
di tedio
scompigliata
nell’annuale
riunione condominiale
riversavo
ospite
il sorriso
medio da pomeriggio
e nell’attesa
dello start
fendevano prove
i
patròn di schermaglie,
da infilzare
al terzo
punto prima delle varie.
estraneo a quelle case
sguincio a
follonica
ero
compagno tuo
dell’occasione.
altri
arrivavano, incappavo un
sorriso
diviso, mi
accovacciavo alla
tua posa
composta che
interrogava
gli sviluppi
del bivacco; annotavo
avresti riferito a chi di dovere con la
calcolatrice svedese?
la certezza
d’un tuo dubbio riparavo
a margine, mi
sapevo
inconteso.
arredo grattato, scialbavo
alla fiammella della discussione e
stavo bene davvero eccentrico
davvero inutile. mi fingevo
attento ma
solo
ascoltavo all’interno
l’incaponirsi
d’un
acquattato libeccio nei meandri
cubi vuoti del palazzo, ex crema del ‘60
che sussurrava epocali quei silenzi spessi
dopo la grassa stagione degli affitti.
a fianco settembre ne rideva
e un seme scivolava
in sordina;
basta ne rifaremo
tetto nuovo era
partita
come tarlo la decisione
di tutti, ci
si preventivi è
ora,
poi
nell’ordine
insinuavano
il
commercialista pannelli consigli
postille rimandi sbadigli
cadevano a
cocci, tutti a riparare
il vecchio
tetto
dalle
virtuose promesse.
roboava
ora l’androne
d’un timore d’inverno
scrostato. solo
un intervento
economicissimo
di fortuna senza gru abusivo
avrebbe
velato il danno
che si fiutava lieve temporale.
L'auto
ci strania vorace
l'auto ci strania vorace
diluendo il
dettato
l'ascolto.
forse sono solo sintomi
che deplori
raschiando il dolore
o è il
male
che griffa;
andiamo tra
corsie che
aprono
un trincio
distratto: goffi
tra i grumi
d'un bosco frontale
si va.
l'auto ci
strania veloce
carpendo il
dettato
e l'ascolto.
ci s'impaura
d'una primavera
tramestata da
segnali
imperfetti e
rimandi
senza
prefissi. ascendiamo
feriti. ci si sfreccia
aprendo forse
di noi
che un fianco. ignudi
di fronte al
sandalo aperto
che zoppica
sdrucito là
sui prati
fradici del lungostrada;
le prostitute
abbeverano.
forse sono solo sintomi
mentre la
città finge
un coma
d'istinto,
remota.
noi due variamo
le cadenze,
tergendo
la pioggia
l'asfalto il vetro,
è
frattura breve,
la nostra,
arco
minimo
inaspriamo
impercettibili.
sappiamo
che il
giudizio è altro.
è'
alto. sappiamo
d'esser oltre i cento, ma
ci s'impone
un contegno
di
superstiti. via
si va
E’
a san pietro in montorio
è a san pietro in montorio
escono
gli sposi
violini
quando lauto
un vento
crespa il
gianicolo. muta la
folla
in disparte.
li vedo, ventenni serrarsi sottecchi
fra le dita
di sguardi parenti,
ne provo
a salir piano
due scale.
il cielo s’inguaia di mucose strie
e timido mi
s’accosta
un
sudorìparo, sorride
del mio
sorriso. mi spiega
le mani del
loro amare; non
è
cambiato, è diverso
forse
oggi, ma forse
tu ne sei il
segno; chiosa lui
mentre
qualcuno nella folla
rovista la
borsetta
a
rabberciarsi il trucco.
accade. in fronte al tempietto
mi spiazza
una folata ingorda.
solo, nel
giorno breve
gli occhi mi
si crepano del rimmel.
mi rimprovero
d’esser
lì, come ogni
giorno
del non
coraggio di sfilare
a trastevere
dove brulica
la vita in
divenire.
tiro i
chicchi di riso e me ne
vo, senza gran saluti.
Dite
voi taciturni padri
dite voi, taciturni padri
coturnati da
mediani in disuso
non sia
giorno che
depresso sfria
l’oggi
ma un’estate
ridarella dove
ricordare di
allora
solo
ciò che noi piccini
appena sappiamo
allora
orifiamma di
sketch e molotòv.
scribacchio
sole velato sul pentagramma.
eh però voi
giudici di provata scienza
generazione
di eroi mancati appelo
sappiate,
non siamo
i soli, noi
fenestrati
in sordo codice
a barre
sappiamo di
sfiorire foltifolti,
debosciati
nell’arma
sottile che è
il piacere
l’irricordanza.
Il fan di cartoncino bristol
mi dico, è lui quello strano?
ci
saluta di lontano, antico
il fan
ambientale, col secchio
grasso,
scroscia pionieri arbusti
sul pubblico
pratino, s’avvvicina
torvastro; gli chiedo.
con un piede
il tipo sale, medita
sul trespolo,
incespica gotica
una predica
sul verde
sfiancato, i
giovani fannulla
a fatica il
deltaplano l’insegue,
sparuta
schiamazza la nube. e
gli chiedo di
lui
ragazzo,
dimmi
cos’era.
traballa traborda spaesa, m’infischia
che
ne sai? era
il tempo strambo
dei
rastrelli, ‘quarantaquattro.
precoci
le rughe alle
tazze cocciate.
che ne so, ma
perché morirlo
poi
è
libro di figure,
altro
gli dico
che fate,
altro che giostre.
agli
affetti
rimossi si spanna, ai
respiri
rimorsi si
cruccia, bacucco
dissenna:
sferra via i trucioli
le stagioni
le ragioni di allora,
lo
addita
a esotico
scampolo
un
vuccumprà . che
senza motivo gratis gli impartisce lezioni d’un trasandato francese
oltremare
si frana il cavalletto
da un cielo
spaesato.
In laude di dama que lauda, comma 4
oh dama tu mi perturbi, mi stagli
con lodi di
gomma in avori torniti
su torri tra
cirri e tranelli,
cara
t'industri a traviarmi d'incensi
e allori
tornelli; son storni
i tuoi, di
corde che frugliano
le ciprie del mio trullo
di peripateta
zoppo: traumi
ch'incasso,
vibrando le trèfole
del mio crasso pupurrì.
beato
uno spirto
m'infondi? o forse
vedi solo di me che un trìllo,
un farfuglio di ganzo che
spèrpera
il suo rìvolo
vero,
quello che il
turbigliòn
di ruzzate
affogò in
puttanesche stonate.
Della
nuova guerra
deus fitto cupe barbe sconce
ex
machina invogliava
bolsi
putti a scimmiotti
voli
scarburati
in teatro;
circumvolavano
il fracasso e
la maniera, strabiliando
chi
in
platea
mangiava popcorn tranquillo
nell’attesa del ciak.
e in quinta, d’alto eruttando
le saette
fallace il
saladino squinternava
minacce
brillanti domopak, si
prevedeva
un filo logico
un poco
grosso, aggiogato a un
polso burbero
ma
avvincente.
niente melò, del preambolo
si sbrighino le quisquilie….
Di
quell’inghippo losco
di quell’inghippo losco
non si seppe
altro
che
indiscrezioni
mentre
masnada la crociera
sviava
l’adriatico, lumaca:
così
le
mucillagini leccavano lo scafo
attente a non
impensierire.
se ne discuteva a ore brocche
di primo
mattino
quando la
mente era persa
in slow-fox
di altre notti. per
il non aver
dormito, per
il non aver
sognato granchè
si riandava
ai falsi miti di
progresso.
e si sentiva
i boati, a rintocchi
nel mare che
ad est
perso
distraeva di sé;
consueti
i gesti
di risacca
e progresso.
disposte
le sdraio alla rinfusa, le illusioni
hanno il
senso delle prime ore,
ma sapersi
stropicciata
indosso
un’attesa, minacciava
il riordino
delle priorità
.
nella
discussione, al ponte
erano giri
accesi soffusi, tacchi
come anziani
confusi .
le gelatine di frutta cadenzavano
aromi esotici
al primo
pallido sole.
Il
sacco (versione 6.1)
era la fine, davvero
e vanesio il
dòmino,
stridulo incantando
indicando
alla sua dama discinta
indicandole
nello sconcerto generale
il supporsi intricare
codardo di
code: minuscole
rane, in erba
sventare,
indicandole
giubilare
ancor folli soldati
in
un’adolescenza di rame.
e indicandole ancora fiorite
le lame le
donne sfregate, i
sogni
scarlatti,
senza riguardi le
disse sicuro,
di rado vedrai,
mia puttana,
un uomo
avanzare in una tregua
là
nel collasso
d’ impèri
avanzare dove
discorran fitte
le ore
[in trincea
esalavano oli
barlumi, i bronzi
dei commilitoni
sgranati].
gli slavi serrati
ai semafori.
eppure si sappia, fra noi : ore
8.47 alarico già marciava sul celio, che dirne
porta salaria
orti sallustiani
fori imperiali basilica giulia tempio della pace terme palatine
con
paccottiglie souvenir visi
goti
bistrattati ruffiani fili
bustieri
goffi poliglotti sfaccendati.
ancora
marciava alarico
sul celio fra
noi fra
noi
così cadde l’ultima traccia
nel vuoto
ridicola la
numero nove e il
lacchè
riprese la danza in silenzio
nell’attesa
del brunch.
E
in cielo quasi di sé sfarinando tracce
e in cielo quasi di sé
sfarinando tracce
sferzi di
luce, a scolpire in
un rarefare di fremiti
che a poco
scemando stagliano
immenso
lo scorcio ai
silenzi, sbaraglia
inatteso uno scroscio; e
stremo è
il segnale di una frattura, divampa
il dubbio in
navata striscia
autunno
immorale
la
parata. così
mutan radici, percorsi s’incrinano
incalzano
nòve ragioni,
congreghe d’azzardo
sgorgan
sospinte da piogge incostanti
ch’accostano
a strambo sentire.
è
altra la storia; nel contratto
che scorrazzi
di turbe, chinchaglie
di neon
serran convinti sospinti
in
aspri
clangori, smidollati all’humus
tra bestie
orbe scervellate all’imminenza
d’inatteso
collasso,
coli rimmel tu
balli
scorretta vaga ai bigonci
dei sessi
urgenti, letamanti
(tiritere disturbano, frappongono amplessi, sviano effrazioni di sessi)
è poca
la
storia:
renèe oggi
la madre è grama, s’innalza
l’incenso: è fòco d’inchiostri.
foco come abnorme fusse
in cui
forgiare eclettico il
marchio nuovo,
una pioggia
arabesca le
carni, scardina il
marcio, surge
moneta agli
scranni. [estasi
divampa
barbagli d’inganni, napalm
narcisi
piroettan a fiotti
fasci fasulli
sui teli nel cartoccio
che è
odeòn].
quierpopolominutosimpazza?
frotte di
teppe fioccan sghimbesci
di risa al
fottìo d’impiastri,
salire
virare
carpiare folgorati
zanni turgidi
clerici.
onomatopee
schizzan
perplesse com’avant-gard
elastici
d’antan, compl
esse
è stessa la storia
svirgolano
l’immota capanna del
ciel
che è
autunno
immorale.
Quercianella
tangemo
quercianella,
toponimo arbustivo
incagliati in
medio luglio
quand’ ecco
nel terzo vagone
sedevi anche
tu, scorbutico
ad aspettarti
sano tra
scanditi singulti di un bimbo
in terza
fila, bigio.
e come
azzeccarne il donde?
non v’era
alcun chi.
sfocato, dal finestrino
sconti dei
tramonti
un
ennesimo
ma non
è che anteriore
ciò
che si dipana brano
di poi?
ascoltane
le
modulazioni, inceppati
gli accenni
crespe
le riprese;
nei chiassi
scomparto vedi
spezzarsi
isole nervose
in un mare di
cartapesta,
paion
capricci, sfriati
al baluginar
d’un dio d’ego,
le
nubi imberbi
‘sti fili
bigi.
non come nella dracena secca
roteava
avant’ieri il ragno
e di ellissi
si moriva
e frasi
sfatte.
Un
lamento alle forze di polizia
credetemi non è voglia
di giustizia
ma anelito di
grazia e
di vangelo
a proporvi il
giusto esempio:
impartite
il castigo
che castighi
il forzare
del lavoro nelle celle
lo schianto
delle tv contro le
grate
l’uso in
calibro delle legnate
il rifiuto
del sesso galeotto.
solo
difendiamo il
lavoro, le parcelle,
le viuzze
le pensioni
gli scontrini, dall’orda
serrata
tunisina
kosovara. ci spacciano
gli stupri
organizzati e
chiedono, ominidi
impuniti,
le case i
mutui agevolati la
macchina blindata
il lavoro
triplo, doppia cittadinanza;
da conigli
si
snocciolano raschiano e
frammischiano
tutti uguali
come facce
triste da cinesi.
trafficoni
cincischiano s’intingolano
si fingono
rifugiati unghioni
emarginati,
poi detengono
le armi e s’intervistano
in
tivvù, coi passamontagni
acciottolati:
ci ingozzano
di robba strana,
lavoran così
attori nati,
‘sti beduini mancati
invertebrati.
Globalizza
e contesta
ne ribadiamo la necessità
agglobare est
tendenza ineludibile,
agglobare
perchè input
siano
sigillati in
sincrone digitatio
in contesti
acquieti, proni d’uffici
market.
abbomba, i
panozzi mcdonaldo
son
farciti di
chip et scorie ch'aggustano
et cucciano a
pronti ritorni.
tu
fellow,
ritorni a' mmordarli,
a bolarli
car
dindan pauci sexterzi,
and if you
drunk ccocaccola middle,
you
sfreeze
di lazzi e get
your cock up, coke
cocamenùnondìrdino....,
est tendentia
lo ribadiamo
ineludibile, il
rosxxxo(red) la
emme (yellow)
aggrediente, le
bollice sfreeze...et
ridancie le
trozze que digitano
sincrone
immenù
ch'abboli, che
skoli stonato.scontri
ni!!
inglòba come capro
infiammatorio
tra i mille
di espana plaza,you
interrato
bunkerato nel
deliquio del transgenic
accumulo,
bòmbati est
libertade ! crauto,
attelepatisci-
connetti at tele
plus in mille
screens,
ridondanti your heart
team.guarda pur
tu e stona
aggorga, trabuzza
sbrana ‘cause mome
non
c'è (la traufa). sei
tendente. sei unique-irricordante.
et affine
dinner acciccati autre
rouge, accicca
la cancerica
Marlba del tuo babbo-
che sega! che saga...
Doppio sogno
attratti dalle sette porte,
stretti
si calcolava
spanne di tendaggi
porpora
e laidi prelati,
tra zanni
arroccarsi, in bui stipiti, per
stanze
dove accesa
filtrava una metrica
pagana. si
calcolavan difese
scudisci su carni e acido il filtrare
calzante
d’inganni latrati, nudi
per cosce
incastonate, tra
martelli
clavicembali e fra dischiuse labbra
viole; una
metrica pagana a tratti
insinuava
rintocchi in stanze,
scoppi
fragori tra scacchi e freschi
intonaci,
tracce in
carni preziose; balaustre
barocche, le
mosse degli astanti
convenuti.
temevo dunque
temevo bach. temevo
quando
già allora mi era
imposto
il taxi non resti fuori della
villa
e lei non
spezzi la banconota…
ricordavi
le parole di borges
ricordavi le parole di borges
che, ritratto
in uno scorcio
d'arrabal
civettava le
tre dita all'orizzonte?
scarniva in tre destini
il futuro
d'un libro in versi.
appunto,
tre memorabili elementarissimi
accidenti.
che il primo
caso n'è
l'irricordanza
alle ombre future;
che il secondo è un' idea
totale,
ammoniva borges
della figura del poeta,
uno scorcio
morale
d'autore, nel mare di spade,
di pochi
segni
intrusi
d'indice,
nessuno quasi.
e quindi il terzo inganno?
a copiarne carponi
te ne scordi
il segreto?
o solo un trillo, li avrà
partecipi
a un
crepuscolo, dei percorsi
abituali
i posteri vocati.
Arsenio
solitario, fra catinelle e marmi
in crasi
tardoimpero,
or segui tu ‘sta
polla d’estro,
quando ancora
in calidario saturnino,
collaudati a
umori effusioni
effrazioni
sbirciano,
anziani bagnanti,
turbati
dal cielo in
carta e arsenio.
salmastro
indugia
all’onda schiva, un ciarpame
di miragli a
globi rossi. brilla
ancora
il cielo
agnosta, smiracola tra
mulinelli
così
la calca a sdraia,
senescente
tra i gracchi
di tzigani altoparlanti
a onde mono;
sullo specchio d’
acqua
che riflette
i prodigi d’un cielo
scimitarra.
s'agitano i
ricordi in calidario.
i morti non
camminano sull’acqua.
non nuotano i
ricordi che di
rado.
II
è battaglia mentre scroscia
nuova vita sulla vita,
mentre
divampa linfa nuova allo
spartito,
scrivine,
perché è
incauto passeggero l’estro tuo
che la sera
assale; or verga
tu, che d’archi è una china
che or in
trilli capriccia, ma
cheta poi, a perdifiato;
troppo tardi,
nervosa la corda
del violino
scheggia
l’archetto primo. troppo
tardi, sbirbona
di strani
intenti meteo il cielo,
appare improvviso
un destino
segnato, una curva
col gesso….
non nuotano i
ricordi che di
rado.
straccia il
conato d’acqua, spare
la pioggia.
asserena.
s’incaglia così la baruffa
in cirri
upper-class.
III.
l’estro è passeggero
incauto, ben
sai: nel calidario
tra i
bagnanti, settembrina,
la fumea
t’intravisa
nel gioco
degli incanti, schiara
e
tu acciechi
dei barbagli che,
ratto
mirabola il
tramonto. così
in fine d’un
prodigio consumato,
d’urto, come
crine d’un’ ampolla
rasserena; i
vegliardi vibrano
a nuovo
mezzobusti,
e in dorso
tu scialacqui
le tue rime d’ordinanza;
smemori,
incupendo di slancio
laido scagli
a nuove guise.
A volte
non ti avrei rivista
che in altra
città
in altra luce
in altro
inganno.
non torna, esatto
il tempo dei
ricordi.
l' ombra fiorisce gondole di creta
nei nostri
sogni. a volte
manca a
volte, alla forma
dei pensieri
indolenti
ritrosi,
gondole
distratte, miei
manca
l'accortezza
d'una mano
affatto
affusolata,
straniera
manca,
che a forzare
vera,
provochi in me
smorfia
di portento.
non ti avrei rivista.
Al
colloquio
erano in tre, puntuti
in giacca sillabata,
al vaniloquio
dissero se
credevo
in ciò
che sarei pututo
divenire,
semplice
in un
contesto, dissero
del sapere
del saper fare, dissero
affabili, del
saper essere, ingenuo
aggredii;
e
dissi che ci
sapevo fare
a parole,
sì
a parole.
credo
mi dissero,
ma rimasero in due,
(il padrone distrasse da me, per un suo
voto)
se ero
portato al fare oppure
alla ragioneria applicata, dissi
ciò
che avrei potuto essere:
uno gnomo da giardino,
in un
contesto di fiaba.
Annunciazione dell'Arcangelo Gabriele
a Zaccaria
da un'idea
di Gabriele Pepe
"Ed ecco un Angelo del Signore
gli apparve ritto alla destra dell'altare dell'incenso
e Zaccaria
vedendolo, fu turbato
e lo spavento cadde sopra di lui."
e Zaccaria rimase muto.
" Maggio aggelato
crine di
maggio
fronte di
genti, allora
smarrirete
già
in annunciazione
del colto
macello.
Maggio aggiogato
smorfia di
gladio,
quando predato
notturno il
cielo
stellato
d'
immenso,
scivolerà
con tutto
l’universo; nel tempio
tra uncini,
sorrisi di lama
rugiada: tu
già
vedrai di maggio, che un volto
di rimorso..."
"E il popolo intanto stava in
attesa di Zaccaria, e si meravigliava che egli indugiasse
così
nel Santuario. Infine
venuto fuori, non riusciva a parlar loro, e compresero
che aveva
avuto una visione nel
Santuario; egli però faceva dei segni e rimase muto."
Eroe dell' uno
con lingue puntite
scapole, e
sorrisi
tranelli di
chi pensa
saper di te
ciò che tu meno vuoi
del prossimo
intuire
e minuetti
sconcerti
sconvenienti
a confondere
fino
a rendere
te
nolente, carente
protagonista,
dardo
all'avventura
d'una moviola
che tu
vorresti (avresti voluto)
dimessa: il fantoccio gonfiabile
d'amico,
seduto
d'infanzia,
divora confidente
il granturco
scoppiato, tra i
dolby
e ignora
il cinedocumentaristico processo
con toni di
sprezzo
acuto al
povero,
celebrato,
tra le pieghe
dell'istante,
ignora. ribalta
la vita a te
a te rincuora:
1.dove parlare del denaro,
2.dove
parlare dell'oggetto,
3.dove
parlare di sé,
4.dove
parlare dell'altra.
e tra 'sti quattro cantoni
distesi come
ghiaia sopraffina
scavi un
deserto di grana, affatto
eroe di te.
traduzioni e variazioni
di Guglielmo
d'Aquitania
Ab la dolchor del temps novel
foillo li
bosc e li aucel
chanton
chascun en lor lati
segon lo vers
del novel chan.....
Esercizio I
I
Nello dolce
novel tempo
ridono i
boschi e gli uccelli
cantan in
melodia del loro canto
nòvo:
ciò che aneli,
ognun si volga.
II
Dal luogo a
me più caro,
messaggio
non vedo, non
messaggero; così
cuor
non dorme,
né ride, né
oso farmi innanzi
io, ancor
incerto che sia, il
patto così
come lo
chiesi. Nostro amore,
vedi
III
è del
biancospino, il
ramo che brina, annotte
in pioggia e
gelo, di là
da un domani
ove spanda il
sole; oltre il
ramo,
entro al verde
nella foglia.
IV
Madido, ho
ricordo d'un mattino
che tacemmo
nostra guerra
in patto e
Lei mi fece dono,
strana
un anello e
fedeltà d'amore..
e ancor un
giorno mi lasci Iddio
esserle
vassallo ad adescar sua
veste!
V
Non odo il
canto ostile di chi
mi volle
straniero a
mia dama, ella
è mio
Signore; so come
parole sian
vane, in vane
formule d'amore
di cui va
vantando alcuno: ma
noi
noi abbiam, d'amor carne e affilato
un pugnale.
Quattro poesie
I
cerco il tuo tempo, distratto
ai miei
indugi.
in idillio mi scorgi
sfalsato
dissorto alle
tue frenesie
di posa e
scomposta, quando
in tua
rimostranza appaio
flessivo
da speculare
irrisolto
sui tuoi
falsetti lungamente
spiegati
e mai appresi
dai miei
pigri palmi smagriti:
ho spanne di senno a svelarti
in estrema
tenzone.
e dopo
i congegnati fioretti
t'insegnerei un pretesto (un orizzonte
inclinato da
spaesare lievemente)
a importi, ti
costruirei
un
cavalluccio di barbiere modesto
graffierei a
china la clessidra
ruffiana, ma
tu
accettata m'abbui profonda
tu fazione, traccia
che scintilla
indolente
nell'avvenimento
concentrico.
il tuo tempo ha cadenze di suono
che non
arrivo anche segugio.
II.
vedi: la mia saviezza di contabile
t'incute
parcelle
che sprezzi
e l'oscuro
dei tuoi occhi di
dama
schiudono
incendi e acume,
ne
accartoccio le fila di fuoco
sbuffando
artimbanco,
così ferina illusiva mi
trascini
commosso: m'esplode un rimorso
d'inattuale
emergenza.
ne scrivo. flusso
e screziata
dei miei crampi
tu riversi
un profilo di
ripide scale
ineguale tu
al mio
desiderio di ripido
azzardo. alle
danze. alle danze.
III.
coltivarsi
la mia
distrazione
di stecche;
qui
è il
tuo rimprovero
corrosivo.
così la mia barba anacoreta
incurante,
così il mio
occhio
camuffato.
mentre lo stagno
breve risolve ghirlande
le
indiscrezioni che i tuoi sassi
impiegati di
getto.
voltaico
il tempo ha
il corso
delle muse
brevissime, s'insinua
il dubbio
alle corde
stretto e non
resta
che un alibi
a cavalcioni. ricordi
quale fosse l'affanno? quale
il verde
struggente di febbraio
deprime di
piogge liberatrici
gli
interstizi della morte
giusto trascorsa. ci osserviamo
nelle tue trecento parole commesse
di sbieco e
profonde
nel silenzio:
il costrutto regolare
di pioppete a
losanghe accese
e artificiali
(ho sconnessi
oggetti imposti
nelle tasche
ad inventarci
amuleti di ore
divertite)
diviene
un'estrema variazione
del pomeriggio intaccato dai tralicci
umani.
IV.
tuo eloquio a sbalzi nascondi
la verve al
mio sfrecciato cinismo
che oggi
sulla carta
gualcito affanno dei pavidi.
sulla carta
posso provare
a ordinarti
per rubuste parallele
di concetti
sequenziali e progressivi:
le mie linee essenti
le tue
elusioni da elettra
i miei
rimpianti di ragno oleoso
le tue
frenesie impigrite in
passeggiate
sfiancanti, i
miei sarcasmi di
greto.
posso tentare.
ma sappiamolo,
è una
volubile storta
un
minicataclisma a giostrare
i pollini
più dolciastri.
non il rito, e non bastano
artificieri;
il tuo fiore
ne perdo
ormai sfocando
i contrasti
distante al
tuo umore, arranco
mimo di
schiena (viole distinte
dagli spalti
a puntarmi)
e digiuno in miopia anch'essa
scena.