VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Francesco Giusti

   
Voyage en Italie



Voyage en Italie

La morte sta nascosta negli orologi
per fermarvi le sfere in mezzo all’ora;
e nessuno può dire: domani ancora
sentirò battere il mezzogiorno di oggi.
Sul tardi non resta
di questa sottrazione
che un annebbiarsi di coscienza
la presenza, se c’è, scolora
scavo a parole in quel dolore
cha non ha parole
e non ha ragione.
E va bene,
va bene comunque,
resta poco si sa,
ma poco altro abbiamo
da fare, da respirare.
Manca un modo di prenderci per mano,
una strategia per vivere su questo lungotevere
disfatto, su questo letto di pietra intorpidito
da sonno e dalla poesia, da qualche pagamento
troppo lecito. Siamo partiti ormai che è quasi
un anno e resta poco ancora da dimenticare.
Non manca però il tempo
per un caffè, per un ritardo
organizzato, certo, armonico
col mio, col tuo disinteresse
e la ricerca d’altri. Appena
all’angolo di via Renella.
Dimenticare, me da me assolto e riposto,
è una difesa
scolpita negli orologi, nei calendari
nella ricerca d’un bar
che sia deserto per noi
dissertare poi è nostra competenza
vuota, o almeno mia:
meccanico debitore di sogni,
tanto ci tornerò
per altri quarant’anni.
Dov’è oggi? A cercare
qualche viso che conosca
su un volo per San Pietroburgo
posto accanto al finestrino
e non lo sa
che non si viaggia
se non ci si allontana
se trovi sulla Neva
un altro lungotevere deserto
cercando un’altra vita
con cui prendere un caffè
ma c’è solo la luce diffusa
dalla nebbia e un uomo
in frac e cappello a cilindro,
o diversi? E anche delle donne
senza volto, che sia cipria
o la memoria poco importa.
È l’ennesimo paradiso
artificiale, stanco, artificioso,
non ne rimane nulla
quando la nebbia si dirada.
Viaggio che ritorna
ad un inizio
lungo centinaia di chilometri,
a discutere d’interpretazione
su una banchina
con un ritmo da discorso
quotidiano interrotto
da tre scalini
alti appena quanto basta ad perdere parole
a far scivolare nell’acqua alcuni punti fermi
punti catturati da una bugia liquida e fredda
senza che la parte migliore resti viva
e poco altro ormai abbiamo da darci,
la pena di iniziare è pena troppo grande
ridare accordi alle giornate
e vestiti presentabili ai corpi
allattati da mancanze mai
davvero gravi, artifici vani
per dissimulare confidenze
orientate alla resistenza
estrema senza che sia possibile
distruggere innocenti passeggiate
interrogazioni ad atlanti, enciclopedie.
E un po’ rinasce Africa, un po’ Cina
questo continente ininterrotto
di pensiero che trova amanti
nel silenzio della geografia
e nei clamori della storia
e colleziona piatti sporchi
di pasti consumati altrove,
forse. Un viaggio recente
pianificato in un bar
davanti all’ennesimo caffè
non conosce che accenni
d’accenti lirici interrotti,
di parole apparecchiate
tra i piattini e i sottobicchieri
che danno sensazione
di talento trascinato
di ambizioni deluse
di un ritornare dove
non si è mai partiti.
E riconosci d’essere stato tu
a scegliere un matrimonio cannibalico
col corpo proprio
e d’altri. Tento a scrivere
lettere calligrafiche, mediate
appena dall’indifferenza
dovuta ad ogni circostanza
occasionale, reale quanto basta
a dirsi vivi. Certo
potrebbe esserci in quella mansarda
di Trastevere la certezza
di doverci davvero
delle scuse, la linea tirata
sotto al mento
è la prova di strade
e spezza il corpo
il mio se non il tuo,
le occhiaie, le emicranie
il vago senso di dolore abituale
a poco serve, il corpo
non è il mio
il tuo giardino,
foresta, deserto.



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