VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Mario Fresa

   
Senza titolo


Senza titolo

“Ma io ti chiamo ancora, in piedi, 
(mi stremano gli spifferi, vedi),
e il tuo sguardo mi respira
come pietraserena; e ieri,
anche, sull’argine del buio
mi dicevi: lascia che le mie 
labbra almeno. Invece io, 
più sotto, gli occhi sudando,
avevo perfino le ginocchia
già pronte per balzare in alto;
le ho lucidate bene, dico,
e, al suono delle tue braccia
aperte, poi mi sono tuffato
nell’angolo più acuto, 
dove il mio corpo 
barcollava, gonfio di semi, 
  spingeva spingeva.”

…qui, dunque, vicino al mucchietto dei libri,
la mano in tenzone con l’oscillante, semivuota
tazzina da caffè : io che sfiatavo, senza più
calma, nel tepore dei tuoi “smettila, dunque,
o ci vedranno”. Eppure, senti: non conoscevo
il festoso saluto dei lunghi giorni già finiti,
non sapevo cosa fosse il far di conto 
col respiro stupito: non conoscevo, credimi,
il levarsi da terra tramortito, lo sfinente
chiarore dell’ultima battuta. Ora di certo
ti sforzerai di accogliermi sotto una luce
provvisoria, come il passo disarmante
della pioggia, come uno sguardo che
prodigo m’invita e d’improvviso
           s’allontana e muore.

Ho il passo di vetro, ora che m’affaccio 
curioso, ma col timore del risveglio: 
con gli avanzi dei nomi che fanno 
già tremare la pace delle labbra: 
è questa, mi dicevo, l’ora.
Potremmo, felici, svuotare
le mani: scioglierle, adesso, come
armi inservibili: ora soltanto,
mi ripetevo, si potrebbe aspettare
silenziosi l’aprirsi della vita,
distesi in una dolce finta,
come un docile cavo
sorpreso dalla luce.

“…Le tue calzette, senti? mi tagliano gli occhi, poi francamente non t’aspettavo. Ero sotto le lenzuola, sconcertato dai miei verbi e dalla carne in subbuglio. Comunque, ho paura di entrarci, amore mio. Vedi. C’è a tratti un fiato insopportabile che mi schizza sui piedi: mi si lancia addosso come un pugile astioso. 
“Poi mi diceva, ieri, l’infermiera (la più bella, che ha i denti come specchiere e le ascelle odorose di limone) mi diceva: lo sai? che  quasi? (qualche parola l’ho perduta, perché sbatteva così forte l’uovo che ho dovuto, a un certo punto, chiudere gli occhi). Io le dicevo, poi, di pitturarmi la camera più chiara: così le formiche le vedo meglio. È  tutta una questione di colori. Sono formiche deliziose: amano prendere il sole distese sui miei escrementi.
“Potresti respirarmi più forte, più forte. Vieni vieni. Sono già semivestita. Perché m’impugni le gambe come fossero spade?  Dice ansimando. È ovvio che sono invidiosi, i medici, quando mi apri il corpetto i lacci la vestaglia, quando t’insinui come una trota ansiosa in mezzo alle mie cosce, cominci dal maglione poi scendi e mi dici che baciarmi è come far vibrare l’occhio di un limone, dici”.

È così calda la stanza: meglio è dormire
nell’acqua, dopo i gelidi nastri chiusi
sopra la vista, perché l’estate 
dolorosa l’opera continua, più
feroce, col richiamo dei volti 
che la lingua m’assilla:
ora la mano spezzata 
è dalla luce, la memoria 
come terra d’incenso 
che pronta mi consegna,
con ostinata cura, ai gusci
          della notte:

ma è colmata la distanza,
il mare si separa dal tuo viaggio,
solo per poco tu riconosci ancora
l’insegna, la panchina, il succo 
dolcenero delle strade: è tutto
rimandato, oggi non vuole,
si rimanda perfino – sospiro,
occhi stupiti, - la tanto attesa 
esecuzione.

Perfino l’ombra lunga
mi conosce con infinita
cura : lascio nell’angolo,
in attesa di un docile
riflesso luminoso,
il vecchio mantello
e le bandiere :
partire potrò più
facilmente, adesso;
come un piccolo
animale ora mi stenderò,
tremante, su per le scalinate:
così potrò sgusciare
silenzioso, rompere
gli occhi sulle strade
soffocate dalla luce,

ritrovare gli spaghi
cadere a piacimento

…ma poi la gola , vedi, non può che fissare
i frammenti che non vede: mi sono perfino
travestito da calmo giorno perché possa tentare
una fresca risalita: ora –così allarmato, scrutando,
mi consigliavi –devi deciderti infine, legarti per bene,
finché non si cancelli questo nero, minuzioso taglio
che t’assedia la bocca: e gli acidi fili da raccattare
ancora, quanti ne hai: ora perfino, che lei mi viene
incontro e mi dice cortese che “l’amore è saltare
i battenti, è cadere nella terra dei segreti”.

tra  le mani rovesciato soccorrevoli, segnate dal fuoco
nell’offerta, che mi staccano adesso luminose, ruote
dolcissime vedi che adesso,  ti tagliano pure:
quando è tutta perduta  nell’allaccio più duro 
che nel gioco si ripara nell’acqua, nella legata,
amara terra, con la sua lingua di furia coi gesti
dolci neri, contro ancora la caduta sottile che
germinata irrigidisce vedi, che s’apre alla cenere
dei tagli, all’impuro dimorare dove arrossisci
almeno: perché il tuo volto chiuso che ascolta
 già punteggia le dita,  dietro le bende pure, come
 sospiri che infiniti ascolti, ora socchiuso, certo, 
                  senza richiamo alcuno

“e queste macchie ora che dolci
si consumano e scendono sopra
le mani e sbirciano nel freddo,
misurando la luce; e mi spingo
al tuo mare, adesso, e gli occhi
ti respirano e t’assediano
come sirene gentili:

oh la notte che vuole
smarrirci con la sua
boccapiena, e così sia…”


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