Ti
rivedo, Mendoza
Canzonetta
A
Pier
Paolo Pasolini
I cavalieri
dell’aria
Riflessi
E’
di nuovo
estate
Era un
vecchio scannato scotennato
Ti
rivedo, Mendoza
Ti rivedo, Mendoza,
come un
tulipano spavaldo
la sigaretta
di sghimbescio
e il tuo
mezzo sorriso acquatico.
Tempo ne
è passato da
quella mattina
affogata nel
sole agostano.
Ti rivedo, Mendoza,
quasi gnomo
che va rimpicciolendo
nella
tua bara di carta
senza
più storia
mentre invano
un bambino va correndo
fra una
stanza e l’altra della
memoria.
Canzonetta
C’è stato un tempo in cui
scrivevo
con una penna
a inchiostro verde,
molti anni
dopo avrei scoperto
che
così
scriveva abitualmente
il poeta da
me più amato
in giovinezza,
stelle marine
gnomi agresti fate
celesti
e turchine,
ebbrezza d’azzurri
fiori
erano le
parole che coloravano
il mio foglio
tutto, d’ogni
vocabolo
appena vergato m’innamoravo
e trovavo
offensivo , emotivo
com’ero,
ogni gratuita
violenza; mi pareva
fosse giusto
eliminare ogni spreco
di parole che
non fossero
necessarie al
gioco:
quello solo
contava finché
durava
gioco unico e
assoluto
che
alimentava quel mio poco-tutto
dare
e avere,
tutto il mio timido
vivere.
A
Pier Paolo Pasolini
Nell’attesa ho fatto più
presto io
a
scribacchiare una poesia
che lei ad
arrivare.
dunque
l’attesa ha fornito il
pretesto
o la pretesa
di qualcosa
che rendesse
meno doloroso l’aspettare
schermandone
la primitiva motivazione.
Ecco, Pier
Paolo, come la poesia
può
davvero avere un fine
pratico
un’azione,
un’irriducibile mania
o un’infinita
regressione.
I
cavalieri dell’aria
Sono tre
guizzanti
nel cielo
chiaro di questa mattina
si rincorrono
giocando altra
partita
liberi
leggeri
e forse
in beata
incoscienza.
Ed io scrivo
di questa loro libertà
di questa
loro leggerezza
di questa
loro incerta coscienza.
E di questa
mattina
che è
immensamente mia
.
Riflessi
Ripassano ombre davanti al suo
sguardo
assente
stanco
quasi
invisibile
il
protagonista (?) si sdoppia
inutilmente
nel suo regno
o nel tempo
vorrebbe
viversi con la testa
di adesso
e il corpo di
se stesso giovinetto.
Sono ombre e suoni
che frusciano
davanti senza sosta
viversi solo:
è questo
infine
il primo ed
unico comandamento?
(ci sarebbe
voluto un atto di
coraggio
o una
maggiore consapevolezza)
Da dove provengono quei suoni?
E queste
ombre dove finiranno?
Poter dire di
questo brusio
di questa
infinita locomozione
per esempio
di questa
molle anticipata
discesa di
fiori e foglie
Possibile che
tutto si anticipi
e avvenga
come prima del tempo?
Le continue
previsioni
rendono
inutili gli accadimenti
allora
arrivarci è già
troppo tardi.
Stamattina infine un poco placate
sebbene
leggere a fluttuare
con grazia
già autunnale
con prese a
volo e schianto di
battuta
con
concertata precisione
e illuminata
cadenza.
E’
di nuovo estate
In quelle sere d’argento la penombra
vagava tra le
spire del foglio
e un soffio
di speranza bastava
ad alimentare
la fucina
subito ogni
cosa a te vicina
prendeva
a muoversi
per nuove
arcane profferte.
Ondulata figura opalescente
in una
solitudine di muri
di scavi e di
mani
i sogni fanno
a pugni col mattino
fra breve
ogni cosa riprenderà
il suo posto
ma basta un
nonnulla a spostarti
in altri
giardini.
Suono di flauto sotto roccia:
vanite
figure, affrettatevi adesso
mentre i
tanti inseguiti
s’affolleranno
fino alla spiaggia.
Confermate,
del resto, che il
viaggio
ogni viaggio
vale sempre
al suo inizio.
Era
un vecchio scannato scotennato
Era un vecchio scannato
scotennato
magro chiodo
e solo
come una
panchina deserta.
Seduto su una
bilancia automatica
smangiava un
esile panino
quasi
invisibile la gente attorno
sciamava
inutilmente.
Appena
all’altezza della sua
testa
si leggeva
questo cartello
quel est ton
poids aujourd’hui?
secondo cui
"l'inferno sono gli altri".
da Alessandro
Fo, Giorni di scuola, Città di Castello, Edimond, 2000