Ma senza troppo amore
Perché, se per qualcuno scrivere
è andare ad una quiete
LE PAGINE, IL FUOCO (I)
LE PAGINE, IL FUOCO (II)
PER LA CRUNA (I)
PER LA CRUNA (II)
PER LA CRUNA (III)
PER LA CRUNA (IV)
PER LA CRUNA (V)
PER LA CRUNA (VI)
Ed è così che accade tutto
Al fondo della vita
Adesso che le viti più non tengono
Ma non attraversare il ponte, mai
Vivere di sbieco
Fu l’anno che l’estate precipitò in
inverno
Nell'ombra
La scelta
Ma
senza troppo amore
Ma senza
troppo amore
che sfacelo
i sentimenti
ma
rigogliosamente
inafferrabili
splendide
in sé‚ accecanti
stanno
le cose
nella luce
come deposte
sulla mano
dall'aria
lucente di aprile e calda
(ma
perché‚
così vicini - come possibile -
tuonano
i monti nuovamente bianchi
per inattesa
impreveduta neve)
forse quel
gelo che hai sentito
già
nell'aria casalinga, più tua,
era
premonizione,
forse quel peso
che avvertivi
ti ammoniva “Noi
siamo il
mondo, ospite;
il tuo
sguardo, l’attesa,
le speranze
e quanto scuote
o vibra
dentro è luce stenta
discordante
al nostro spingere
tu sorridi
mesto
rialza
il bavero
non ti
voltare”
Perché,
se per qualcuno scrivere è andare ad una quiete
A
Vanda,
che è riemersa
Perché,
se per qualcuno scrivere è andare ad una quiete
per sentieri
o tratturi disusati che conducono
a fronde
che presaghe tremolano - ma non sai di cosa -
per altri
è lento spingere di sonde nelle gallerie
del corpo,
a scoprire alvei innaturali e detriti di piene:
così
piangevi. Quell'alito di vita interrata e riemersa
che ci
spiegavi impalpabile lo senti ancora
come il
lezzo di stantìo d'un abito dismesso
e ritentato:
piangevi, leggendoci i tuoi versi,
alla tua
nuova impresa di affrontare un luogo di parole
dove si
dice ciò che si può, e quel poco a stento,
perché‚
non hai trovato, come alcuni,
un cartello
di Lavori in corso che blocca
improbabile
un sentiero lasciato all'autunno;
di fronte
all'argine, perché tutto succede presso i fiumi,
dove nessuno
passa e il tempo è un'ansa pigra,
in un'arteria
abbandonata da ogni sangue l'ironia divina
parla di
un vagare per deserti d'abbondanza
che risuonano
d'incudini non viste
ma dove
nulla mai accade in nessun tempo;
sotto il
cielo e sulla terra, almeno, mentre chissà
nei luoghi
della talpa, il cui cielo è terra e la terra
un'arteria
ostruita da tenere sgombra senza requie
graffiando
con l'ugne; chissà che sguardi pazzi
verso l'alto
oscuro, l'unica certezza il budello
stretto,
la scia di vita in una sempre notte
di chi
non vede ma ha presagi: come il tremore di fronde,
ma con
l'orrore di chi sa d'un tocco freddo e alieno
e aspetta
ad occhi chiusi il colpo. E quel cartello a piombo
sopra il
capo, irraggiungibile, Lavori in corso:
invisibili,
incomprensibili per chi abbia vite di galleria
e un altro
tempo dentro il petto.
LE
PAGINE, IL FUOCO (I)
scritto
sui confini
Le devastate
geografie
che ammiccano
dall'erba verde sangue
a pagine
che sembra esigere
ogni nuovo
squarcio,
il sisifo
perenne delle arterie
e il riso
crudo di ferite
che da
terra e cielo mai avranno cicatrici:
s'affonda
questa barca piccola
che il
sangue appesantisce
di peccati
urlanti o tremuli
e sa che
non c'è fondo,
schianto,
tumultuare di valanga
o andare
a suoli antichi e quieti,
ma solo
un premere di corpo
inutile
senza un baratro
che,
divorando,
fonda.
Più
vena esigono i crogioli
che secernono
la Storia,
più
ganga si rapprende al suolo
balenando
scorie e viscere:
si replica
nel sangue la spirale
e avanza
oscura, immemore
di quanto
tenga d’inumano
questo
tutto che ci colse
inavvertiti;
e s'alza dalle nostre pagine
come un
lontano fuoco di battaglia,
nell'ammassarsi
delle sere
sui campi
che la storia umana ha concimato.
Inediti
(da: Nel crescere del tempo)
LE
PAGINE, IL FUOCO (II)
a
Marco
Merlin
Non puoi
saperlo - non è dato - mai
il punto
che fomenta il crollo, l'attimo
che
cederà
la mano che ti tiene in bilico.
Tradiscono
gli amici - tu loro (chissà
da dove
giungono: voci al telefono,
schiene
casuali, occhiate)
e voce
e corpo profetizzano d'insufficienze,
d'indelebili
mancanze.
E adesso
che la barca
vira a
inverno sai, nello stagliarsi
della costa
che delinea l'orizzonte
cancellando
il largo vuoto, sai
quanto
è improbabile novembre,
l'equilibrio
falso e luccicante
delle cose
che cadranno, novembre
con le
sue leggende di ripensamenti,
e ne
contempli
la riva inascoltata,
le luci
a cui non punti, approdi inetti;
e il largo,
l'onda calma che trascina
irresistibile
in cui ti tuffi e sali
in alto
in alto fino al baratro, è ancora
porti
rifiutati,
secche traditrici, moli infidi.
“E’ tempo”,
dice un sorriso mite, delfico,
“vieni
alla vita”, e ti incammini -
ad altri,
o a te, inatteso, lo stesso
volto si
può fare marmo: sente
la spalla
un tocco freddo,
e un occhio
ancora speranzoso
che il
sorriso increspa incontra
un occhio
volto all'orizzonte,
come di
statua silenziosa e mesta
che contempli
come cosa fatta il mare.
PER LA CRUNA (I)
Di questo
ho memoria - l'ultima volta
che
s'infranse
il muro e si passò
esitanti
per la cruna del millennio
da cui
non era giunto messaggero
in cui
tememmo i1 tuffo. (Di là,
non uno
che trovasse qualità
diverse
nella luce che le cose rimandavano:
il sangue
ancora uguale, uguale il fuoco,
il sorgere
e il cadere, medesimo
il tagliare
i nodi della storia.)
E adesso
un'altra cruna attende
stretta
il filo di speranze
che ci
lega discendendo gli anni.
Inediti
(da: Nel crescere del tempo)
PER
LA CRUNA (II)
Ad
Alberto
Cappi
Hai mai
avuto, dimmi,
questo
darsi sulla mano,
un dirsi
che s'inaridisce
e deve
compiersi nel tempo giusto
tuttavia,
ancora fra i miracoli
che uniscono
le notti ai giorni?
E non saperlo
dire, non trovare
l'equilibrio
fra radice e foglia,
sentirsi
nelle tasche trucchi
miseri
e sulla bocca il gesto e il motto
che chiunque
sa finire - ma perché iniziarlo
allora;
quello e nient'altro, le mani fredde
ad annaspare
e l'imbarazzo: “questo è tutto”;
che
significa:
“non ho più trucchi,
ma sono
io l’uomo dei trucchi,
era il
mio compito tradito, perdonate.”
E il tempo
che ti cresce, l’incolmabile
inchiodato
al muro, gli occhi affissati sopra,
il vuoto
che si sbaratra e non sai
che fare
e dire, ma sai bene -
ed è
la conoscenza di una vita,
sapere
che c'è un fare che si fa sapere
e dire,
e ancora vivere, nell'ultimo -
che altri
altrove hanno violato crune strette
per la
stenta interminabile gugliata
che tu
tenti: è questo che ti prova
e il cruccio
che ti smuove, in fondo.
Inediti
(da: Nel crescere del tempo)
PER
LA CRUNA (III)
Per
Antonio
Spagnolo
L'onda che
al largo fremeva - ancora
guarda
danzano al vento i bastimenti
ed ansimano
i gabbiani appesi al blu,
inquieti
alla forza che li preme
scuote
e vortica - a questa estrema
ansa trova
sosta; non giunge a requie,
non si
dà riposo, ma percorre
con i
polpastrelli
il limite
come un
viandante che spronato da alti venti
e da correnti
sotterranee trascinato
è
giunto a un varco oscuro,
troppo
stanco per scrutare ancora,
incredulo;
negatagli la luce tuttavia
aggrappato
al corpo che si strema
in insensato
premere contro la sabbia,
varchi
rodendo verso che oltre non immagina -
perché
non c'è: soltanto le cabine, i bar,
i corpi
sparsi al sole e, dietro, l'ascesa
prevedibile
dei pini, dei sentieri spersi,
rocce e
vette; e dietro ancora vette
in insensata
logica, e poi forse
una fine,
ma pianure, e monti,
ma confini
da varcare, soglie tremanti
e poi
chissà,
un altro mare forse
s'inspirala
verso il tutto o il nulla.
(Se a letto
giaci, immobile e sovreccitato,
potresti
udire canti che a te si spingono,
e forse
grato un rodere nel dentro verso il cuore.)
Inediti
(da: Nel crescere del tempo)
PER
LA CRUNA (IV)
L'incontro
deve essere arco: sopra.
M.
Cvetaeva
Da quale
abisso giungi
lontananza
o perdita
con una
storia in mano
che combaci
con la mia
come un
biglietto stracciato -
è
un ponte fragile di corde
che si
stenda come arcobaleno
quanto
serve a unire
due universi
di gheriglio
che un
miracolo soltanto
ha mantenuto
in vita
sulle opposte
sponde
silenziosi
e oscuri,
gravidi
di palpiti
di nebbie
ed insondabile.
PER
LA CRUNA (V)
Quella volta
il marmo non cedette;
non solo
ai primi colpi di sbozzo
dati di
furia, ad occhi chiusi,
ma la sua
fibra misera, di second'ordine,
miracolosamente
resse il levigare lento
e la mia
mano che padroneggiava
impolverata
e inaridita, l'occhio
che scrutava
ansante, quei ritocchi
tante volte
fatali. E poi
la statua
fu davvero pronta
fra me
e la giovane modella tisica
che si
affannava a ricoprirsi
nello studio
gelido; e la guardai di nuovo,
rammentando
oltre il marmo; mi avvicinai
a lei che
di sottecchi, da sotto la coperta lacera,
gettò
uno sguardo di ramo spoglio
al marmo,
a me, al suo corpo scosso
e poi
tuffò
quegli occhi di malata
nella lana
lurida, singhiozzando.
PER
LA CRUNA (VI)
La ragazzetta
o giovane signora
non so
dire tanto di lei poco vidi
all'alba
tarda al lago incastonato
fondissimo
di Braies - immobile
al bordo
dell'acqua sul sentiero
che lontano
forse svaniva fra gli abeti
la ragazzetta
o giovane signora
immobile
eternamente lì
- tanto
pareva attenta e attonita
sul nulla
incomprensibile
al passare
dei turisti -
sull'obbiettivo
della macchina
o forse
sul fondale cui puntava
per quali
non so dire apparizioni
-nessuno
chiese e lei nulla disse-
a lei dedico
i versi
emersi
in una stanza
dove nulla
- eccetto qui,
e solo
come macchia oscura-
potrebbe
mai balzare su dal fondo
trota iridea
o tronco anni sommerso
che
improvviso
chissà come e su che ordine
lento ritorna
e si fa
ancora
naturalmente
ramo albero
foresta
a Braies.
Ed
è così che accade tutto
A Gabriela
Fantato
Ed è
così che accade tutto
fra le
pieghe dell’immobile -
se pure
qualche cosa riesce
mai ad
attirare l’occhio
per uno
strappo nel fondale:
è
il vento che increspa le distese
e colma
di foglie le ferite.
Poi è
detrito di morena,
avanzi
d’un pasto oscuro,
mozziconi
nella polvere.
Oppure è
un nulla,
l’equilibrio
fra un deserto e un desiderio
e i miraggi
hanno ingannato -
però
nel dubbio che baluginìo,
che cupo
splendere la notte
anche se
sai che nulla accade
e nulla
mai ventoso
giungerebbe
qui dal fendersi, se c’è,
del giro
d’anni. Immobile la luce.
Al
fondo della vita
Un’acqua
densa che le mani annaspano
volendo
e non volendo il tocco -
è
quello il fondo? Oppure giù oltre l’imo
un altro
strato come i fiumi sotto il mare,
inaspettato,
e uomini che giocano a carte
nel fumo,
lo sguardo cauto e fisso
a quanto
avuto in sorte, un poco
da sfruttare
e far fruttare
mentre
le voci intorno vanno e vengono,
ardono
mozziconi e passi di donne fra le stanze;
e risa,
la mano che tortura il mento, i gesti.
Semplice
e inspiegabile, ma è quello,
solo e
soltanto, che avevi atteso
dagli occhi
e dalla vita.
Adesso
che le viti più non tengono
Adesso che
le viti più non tengono
e tutto
s’allenta, scioglie o lento
decade
in scaglie o polvere,
adesso
la saggezza parca
dei tuoi
gesti e mani
mi sarebbe
amica.
Proteggi
questi oggetti
vivi
destinati
a corrosione,
tu che
sapresti ripararli ma
non puoi
usarli: tu sapresti
arginare
con le tue mani
l’onda
che rode la spiaggia.
Ma
non attraversare il ponte, mai
A
Fabio
Pusterla
Ma non attraversare
il ponte, mai:
in questo
regno le cose si sgretolano
anche senza
tocchi maldestri
e la luce
stessa corrode
se incontra
un filo d’erba da scagliare al suolo.
Resiste
la pietra - senza sogni suoi
racchiusa
in sé gelata al vento
e rovente
al sole. Qui è la furia silenziosa,
lo sguardo
levigato dal vento.
Vivere
di sbieco
1.
Ascolta,
dovresti rientrare
ogni sera
per una strada diversa,
la mano
in tasca, non si sa mai,
pronta
sul coltello - aperto.
E voltati
spesso, diffida delle ombre,
cambia
gli orari e non parlare
per nulla;
anche il tuo sguardo
può
giustificare un’aggressione,
o il tono
della voce. Sorridi sempre
e non fornire
pretesti,
rispondi
secco, meglio no che sì,
e tieni
sempre d’occhio le mani.
Ancora:
non offrire
un bersaglio
facile, ma vivi di sbieco
e durerai,
se durerai, più a lungo.
2.
Sii pronto
con i documenti:
fallo piano,
mostrando
che non
hai paura ma sei solo
preoccupato.
Lascia parlare l’altro,
al telefono,
e nel dubbio
riattacca.
Pochi accorgimenti
potrebbero
bastare forse:
niente
posta elettronica,
carte di
credito, viacard e bancomat -
le
telecamere,
comunque
sono dovunque
e rintracciarti
è
facile, se vogliono. Asciugati
le mani
spesso, piuttosto,
e non tradire
nervosismo nei negozi.
Lontano
dai cortei,
mi
raccomando,
e non farti portare
in caserma.
Nel caso grida, sanguina.
Diffida
quando non vedi nessuno:
hanno trovato
qualcosa di nuovo.
Tuttavia,
resistere è possibile
e alcuni,
dicono, sono campati
per anni.
Fu l’anno che l’estate precipitò
in inverno
Fu l’anno
che l’estate precipitò in inverno,
ogni giorno
più fredda e inospitale la terra
e nebbia,
poi pioggia e nevi, ghiaccio.
Nessuno
si sorprese allora, e fu strano,
ma poi
si perse memoria in tutti, volontà.
Fu tempo
di migrare: ovunque. Alcuni
controvento
in bilico, osservando il suolo
e deponendo
ogni cento passi un sasso nero.
Non si
parlava, ma gli occhi s’alzavano cauti
per imprimere
alla mente i volti degli ingenui,
le porte
socchiuse occhieggianti, i sorrisi delle spie.
Nell'ombra
Per
Umberto
Fiori
È
quasi tutta ombra l’albero:
(però
la luce -) radici
che
inchiodano
la terra
a un’altezza
di cieli persi
se quercia
o frassino, se tasso
un miraggio
velenoso labirintico
che gioca
intorno al niente;
(però
la luce -) nel buio verde
un brusio
autunnale illude
o forse
illumina, crescendo;
e cosa
è mai, se è:
storni
al tramonto, forse;
(però
la luce -) nell’ombra
il corpo
freddo del miracolo
o il nostro
poco giorno:
quale,
e perché, da scrivere
prima che
la traccia si raffreddi.
Però
ci sia, la luce,
soltanto
un’ombra forse
o lo slancio
immaginario
dell’inchiodato
al masso:
ci sia
e che danzi.
La scelta
A Claudio
Damiani
Che tutto
vada in nulla in ogni istante
e nulla
resti, né un gesto o quel sorriso,
o nulla
mai davvero si consumi
e si rintani
infine in qualche piega
del visibile
morendo eternamente:
che scelta,
Claudio, a dover scegliere...
O invece
è proprio questo il succo agro
eroico
e tutti, le chiome profumate
e tutti
insieme andiamo là dove si deve,
un coro
d’ombre affratellate,