VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Mauro Ferrari

   
Ma senza troppo amore
Perché, se per qualcuno scrivere è andare ad una quiete
LE PAGINE, IL FUOCO (I)
LE PAGINE, IL FUOCO (II)
PER LA CRUNA (I)
PER LA CRUNA (II)
PER LA CRUNA (III)
PER LA CRUNA (IV)
PER LA CRUNA (V)
PER LA CRUNA (VI)
Ed è così che accade tutto
Al fondo della vita
Adesso che le viti più non tengono
Ma non attraversare il ponte, mai
Vivere di sbieco
Fu l’anno che l’estate precipitò in inverno
Nell'ombra
La scelta



Ma senza troppo amore

Ma senza troppo amore
che sfacelo i sentimenti
ma rigogliosamente inafferrabili
splendide in sé‚ accecanti
stanno le cose
nella luce
come deposte sulla mano
dall'aria lucente di aprile e calda
(ma perché‚ così vicini - come possibile -
tuonano i monti nuovamente bianchi
per inattesa impreveduta neve)
forse quel gelo che hai sentito
già nell'aria casalinga, più tua,
era premonizione, forse quel peso
che avvertivi ti ammoniva “Noi
siamo il mondo, ospite;
il tuo sguardo, l’attesa,
le speranze e quanto scuote
o vibra dentro è luce stenta
discordante al nostro spingere
tu sorridi mesto
rialza il bavero
non ti voltare”


Perché, se per qualcuno scrivere è andare ad una quiete
A Vanda, che è riemersa

Perché, se per qualcuno scrivere è andare ad una quiete
per sentieri o tratturi disusati che conducono
a fronde che presaghe tremolano - ma non sai di cosa -
per altri è lento spingere di sonde nelle gallerie
del corpo, a scoprire alvei innaturali e detriti di piene:
così piangevi. Quell'alito di vita interrata e riemersa
che ci spiegavi impalpabile lo senti ancora
come il lezzo di stantìo d'un abito dismesso
e ritentato: piangevi, leggendoci i tuoi versi,
alla tua nuova impresa di affrontare un luogo di parole
dove si dice ciò che si può, e quel poco a stento,
perché‚ non hai trovato, come alcuni,
un cartello di Lavori in corso che blocca
improbabile un sentiero lasciato all'autunno;
di fronte all'argine, perché tutto succede presso i fiumi,
dove nessuno passa e il tempo è un'ansa pigra,
in un'arteria abbandonata da ogni sangue l'ironia divina
parla di un vagare per deserti d'abbondanza
che risuonano d'incudini non viste
ma dove nulla mai accade in nessun tempo;
sotto il cielo e sulla terra, almeno, mentre chissà
nei luoghi della talpa, il cui cielo è terra e la terra
un'arteria ostruita da tenere sgombra senza requie
graffiando con l'ugne; chissà che sguardi pazzi
verso l'alto oscuro, l'unica certezza il budello
stretto, la scia di vita in una sempre notte
di chi non vede ma ha presagi: come il tremore di fronde,
ma con l'orrore di chi sa d'un tocco freddo e alieno
e aspetta ad occhi chiusi il colpo. E quel cartello a piombo
sopra il capo, irraggiungibile, Lavori in corso:
invisibili, incomprensibili per chi abbia vite di galleria
e un altro tempo dentro il petto.


LE PAGINE, IL FUOCO (I)
scritto sui confini

Le devastate geografie
che ammiccano dall'erba verde sangue
a pagine che sembra esigere
ogni nuovo squarcio,
il sisifo perenne delle arterie
e il riso crudo di ferite
che da terra e cielo mai avranno cicatrici:
s'affonda questa barca piccola
che il sangue appesantisce
di peccati urlanti o tremuli
e sa che non c'è fondo,
schianto, tumultuare di valanga
o andare a suoli antichi e quieti,
ma solo un premere di corpo
inutile senza un baratro
che, divorando, fonda.
Più vena esigono i crogioli
che secernono la Storia,
più ganga si rapprende al suolo
balenando scorie e viscere:
si replica nel sangue la spirale
e avanza oscura, immemore
di quanto tenga d’inumano
questo tutto che ci colse
inavvertiti; e s'alza dalle nostre pagine
come un lontano fuoco di battaglia,
nell'ammassarsi delle sere
sui campi che la storia umana ha concimato.

Inediti (da: Nel crescere del tempo)

LE PAGINE, IL FUOCO (II)
a Marco Merlin

Non puoi saperlo - non è dato - mai
il punto che fomenta il crollo, l'attimo
che cederà la mano che ti tiene in bilico.
Tradiscono gli amici - tu loro (chissà
da dove giungono: voci al telefono,
schiene casuali, occhiate)
e voce e corpo profetizzano d'insufficienze,
d'indelebili mancanze.
E adesso che la barca
vira a inverno sai, nello stagliarsi
della costa che delinea l'orizzonte
cancellando il largo vuoto, sai
quanto è improbabile novembre,
l'equilibrio falso e luccicante
delle cose che cadranno, novembre
con le sue leggende di ripensamenti,
e ne contempli la riva inascoltata,
le luci a cui non punti, approdi inetti;
e il largo, l'onda calma che trascina
irresistibile in cui ti tuffi e sali
in alto in alto fino al baratro, è ancora
porti rifiutati, secche traditrici, moli infidi.
“E’ tempo”, dice un sorriso mite, delfico,
“vieni alla vita”, e ti incammini -
ad altri, o a te, inatteso, lo stesso
volto si può fare marmo: sente
la spalla un tocco freddo,
e un occhio ancora speranzoso
che il sorriso increspa incontra
un occhio volto all'orizzonte,
come di statua silenziosa e mesta
che contempli come cosa fatta il mare.


PER LA CRUNA (I)

Di questo ho memoria - l'ultima volta
che s'infranse il muro e si passò
esitanti per la cruna del millennio
da cui non era giunto messaggero
in cui tememmo i1 tuffo. (Di là,
non uno che trovasse qualità
diverse nella luce che le cose rimandavano:
il sangue ancora uguale, uguale il fuoco,
il sorgere e il cadere, medesimo
il tagliare i nodi della storia.)
E adesso un'altra cruna attende
stretta il filo di speranze
che ci lega discendendo gli anni.

Inediti (da: Nel crescere del tempo)

PER LA CRUNA (II)
Ad Alberto Cappi

Hai mai avuto, dimmi,
questo darsi sulla mano,
un dirsi che s'inaridisce
e deve compiersi nel tempo giusto
tuttavia, ancora fra i miracoli
che uniscono le notti ai giorni?
E non saperlo dire, non trovare
l'equilibrio fra radice e foglia,
sentirsi nelle tasche trucchi
miseri e sulla bocca il gesto e il motto
che chiunque sa finire - ma perché iniziarlo
allora; quello e nient'altro, le mani fredde
ad annaspare e l'imbarazzo: “questo è tutto”;
che significa: “non ho più trucchi,
ma sono io l’uomo dei trucchi,
era il mio compito tradito, perdonate.”
E il tempo che ti cresce, l’incolmabile
inchiodato al muro, gli occhi affissati sopra,
il vuoto che si sbaratra e non sai
che fare e dire, ma sai bene -
ed è la conoscenza di una vita,
sapere che c'è un fare che si fa sapere
e dire, e ancora vivere, nell'ultimo -
che altri altrove hanno violato crune strette
per la stenta interminabile gugliata
che tu tenti: è questo che ti prova
e il cruccio che ti smuove, in fondo.

Inediti (da: Nel crescere del tempo)

PER LA CRUNA (III)
Per Antonio Spagnolo

L'onda che al largo fremeva - ancora
guarda danzano al vento i bastimenti
ed ansimano i gabbiani appesi al blu,
inquieti alla forza che li preme
scuote e vortica - a questa estrema
ansa trova sosta; non giunge a requie,
non si dà riposo, ma percorre
con i polpastrelli il limite
come un viandante che spronato da alti venti
e da correnti sotterranee trascinato
è giunto a un varco oscuro,
troppo stanco per scrutare ancora,
incredulo; negatagli la luce tuttavia
aggrappato al corpo che si strema
in insensato premere contro la sabbia,
varchi rodendo verso che oltre non immagina -
perché non c'è: soltanto le cabine, i bar,
i corpi sparsi al sole e, dietro, l'ascesa
prevedibile dei pini, dei sentieri spersi,
rocce e vette; e dietro ancora vette
in insensata logica, e poi forse
una fine, ma pianure, e monti,
ma confini da varcare, soglie tremanti
e poi chissà, un altro mare forse
s'inspirala verso il tutto o il nulla.
(Se a letto giaci, immobile e sovreccitato,
potresti udire canti che a te si spingono,
e forse grato un rodere nel dentro verso il cuore.)

Inediti (da: Nel crescere del tempo)

PER LA CRUNA (IV)
L'incontro deve essere arco: sopra.
M. Cvetaeva

Da quale abisso giungi
lontananza o perdita
con una storia in mano
che combaci con la mia
come un biglietto stracciato -
è un ponte fragile di corde
che si stenda come arcobaleno
quanto serve a unire
due universi di gheriglio
che un miracolo soltanto
ha mantenuto in vita
sulle opposte sponde
silenziosi e oscuri,
gravidi di palpiti
di nebbie ed insondabile.

PER LA CRUNA (V)

Quella volta il marmo non cedette;
non solo ai primi colpi di sbozzo
dati di furia, ad occhi chiusi,
ma la sua fibra misera, di second'ordine,
miracolosamente resse il levigare lento
e la mia mano che padroneggiava
impolverata e inaridita, l'occhio
che scrutava ansante, quei ritocchi
tante volte fatali. E poi
la statua fu davvero pronta
fra me e la giovane modella tisica
che si affannava a ricoprirsi
nello studio gelido; e la guardai di nuovo,
rammentando oltre il marmo; mi avvicinai
a lei che di sottecchi, da sotto la coperta lacera,
gettò uno sguardo di ramo spoglio
al marmo, a me, al suo corpo scosso
e poi tuffò quegli occhi di malata
nella lana lurida, singhiozzando.

PER LA CRUNA (VI)

La ragazzetta o giovane signora
non so dire tanto di lei poco vidi
all'alba tarda al lago incastonato
fondissimo di Braies - immobile
al bordo dell'acqua sul sentiero
che lontano forse svaniva fra gli abeti
la ragazzetta o giovane signora
immobile eternamente lì
- tanto pareva attenta e attonita
sul nulla incomprensibile
al passare dei turisti -
sull'obbiettivo della macchina
o forse sul fondale cui puntava
per quali non so dire apparizioni
-nessuno chiese e lei nulla disse-
a lei dedico i versi
emersi in una stanza
dove nulla - eccetto qui,
e solo come macchia oscura-
potrebbe mai balzare su dal fondo
trota iridea o tronco anni sommerso
che improvviso chissà come e su che ordine
lento ritorna
e si fa ancora
naturalmente
ramo albero foresta
a Braies.

Ed è così che accade tutto
A Gabriela Fantato
 

Ed è così che accade tutto
fra le pieghe dell’immobile -
se pure qualche cosa riesce
mai ad attirare l’occhio
per uno strappo nel fondale:
è il vento che increspa le distese
e colma di foglie le ferite.
Poi è detrito di morena,
avanzi d’un pasto oscuro,
mozziconi nella polvere.

Oppure è un nulla,
l’equilibrio fra un deserto e un desiderio
e i miraggi hanno ingannato -

però nel dubbio che baluginìo,
che cupo splendere la notte
anche se sai che nulla accade
e nulla mai ventoso
giungerebbe qui dal fendersi, se c’è,
del giro d’anni. Immobile la luce.
 

Al fondo della vita  

Un’acqua densa che le mani annaspano

volendo e non volendo il tocco -
è quello il fondo? Oppure giù oltre l’imo
un altro strato come i fiumi sotto il mare,
inaspettato, e uomini che giocano a carte
nel fumo, lo sguardo cauto e fisso
a quanto avuto in sorte, un poco
da sfruttare e far fruttare
mentre le voci intorno vanno e vengono,
ardono mozziconi e passi di donne fra le stanze;
e risa, la mano che tortura il mento, i gesti.
Semplice e inspiegabile, ma è quello,
solo e soltanto, che avevi atteso
dagli occhi e dalla vita.
 

Adesso che le viti più non tengono

Adesso che le viti più non tengono
e tutto s’allenta, scioglie o lento
decade in scaglie o polvere,
adesso la saggezza parca
dei tuoi gesti e mani
mi sarebbe amica.

Proteggi questi oggetti
vivi destinati a corrosione,
tu che sapresti ripararli ma
non puoi usarli: tu sapresti
arginare con le tue mani
l’onda che rode la spiaggia.
 

Ma non attraversare il ponte, mai
A Fabio Pusterla

Ma non attraversare il ponte, mai:
in questo regno le cose si sgretolano
anche senza tocchi maldestri
e la luce stessa corrode
se incontra un filo d’erba da scagliare al suolo.
Resiste la pietra - senza sogni suoi
racchiusa in sé gelata al vento
e rovente al sole. Qui è la furia silenziosa,
lo sguardo levigato dal vento.

Vivere di sbieco

1.

Ascolta, dovresti rientrare
ogni sera per una strada diversa,
la mano in tasca, non si sa mai,
pronta sul coltello - aperto.
E voltati spesso, diffida delle ombre,
cambia gli orari e non parlare
per nulla; anche il tuo sguardo
può giustificare un’aggressione,
o il tono della voce. Sorridi sempre
e non fornire pretesti,
rispondi secco, meglio no che sì,
e tieni sempre d’occhio le mani.
Ancora: non offrire
un bersaglio facile, ma vivi di sbieco
e durerai, se durerai, più a lungo.

2.

Sii pronto con i documenti:
fallo piano, mostrando
che non hai paura ma sei solo
preoccupato. Lascia parlare l’altro,
al telefono, e nel dubbio
riattacca. Pochi accorgimenti
potrebbero bastare forse:
niente posta elettronica,
carte di credito, viacard e bancomat -
le telecamere, comunque
sono dovunque e rintracciarti
è facile, se vogliono. Asciugati
le mani spesso, piuttosto,
e non tradire nervosismo nei negozi.
Lontano dai cortei,
mi raccomando, e non farti portare
in caserma. Nel caso grida, sanguina.
Diffida quando non vedi nessuno:
hanno trovato qualcosa di nuovo.

Tuttavia, resistere è possibile
e alcuni, dicono, sono campati
per anni.

Fu l’anno che l’estate precipitò in inverno

Fu l’anno che l’estate precipitò in inverno,
ogni giorno più fredda e inospitale la terra
e nebbia, poi pioggia e nevi, ghiaccio.
Nessuno si sorprese allora, e fu strano,
ma poi si perse memoria in tutti, volontà.
Fu tempo di migrare: ovunque. Alcuni
controvento in bilico, osservando il suolo
e deponendo ogni cento passi un sasso nero.
Non si parlava, ma gli occhi s’alzavano cauti
per imprimere alla mente i volti degli ingenui,
le porte socchiuse occhieggianti, i sorrisi delle spie.
 

Nell'ombra
Per Umberto Fiori

È quasi tutta ombra l’albero:
(però la luce -) radici
che inchiodano la terra
a un’altezza di cieli persi
se quercia o frassino, se tasso
un miraggio velenoso labirintico
che gioca intorno al niente;
(però la luce -) nel buio verde
un brusio autunnale illude
o forse illumina, crescendo;
e cosa è mai, se è:
storni al tramonto, forse;
(però la luce -) nell’ombra
il corpo freddo del miracolo
o il nostro poco giorno:
quale, e perché, da scrivere
prima che la traccia si raffreddi.

Però ci sia, la luce,
soltanto un’ombra forse
o lo slancio immaginario
dell’inchiodato al masso:
ci sia e che danzi.
 

La scelta
A Claudio Damiani

Che tutto vada in nulla in ogni istante
e nulla resti, né un gesto o quel sorriso,

o nulla mai davvero si consumi
e si rintani infine in qualche piega
del visibile morendo eternamente:

che scelta, Claudio, a dover scegliere...
O invece è proprio questo il succo agro
eroico e tutti, le chiome profumate
e tutti insieme andiamo là dove si deve,

un coro d’ombre affratellate,


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