Frammenti
dopo l'esplosione
L’intruso
Immersioni
Tasche vuote
Disgelo
Fiume
morto
E’
come se fossi
arrivato
Certo
non dissento,
e dopo che farei?
Tra
gli alberi la
muffa
Ecco,
ti raggiungo
a fine agosto
Il
sole in un buco
Assalti
laterali
L'imbuto
Breve
rapporto
dopo il diluvio
La
vecchia casa
Frammenti
dopo l'esplosione
Potrei iniziare dalla stanza accanto
quella
sigillata ieri notte dalla
Squadra Omicidi
ma l’odore
sarebbe insopportabile
di quel
povero noi
fatto in
mille pezzi.
Meglio allora incontrarci a casa
mia
nel salotto
buono pieno di cani
e gatti
lì
potremo parlare con
calma
sottolineare
i passi importanti
dividere gli
utili, scorporare
l’Iva e le tangenti
fare i
calcoli più assurdi
per poi brindare
alla vita,
alle donne, ai soldi.
Tutti i fiumi sotterranei sono
abili nuotatori
prendine uno
qualsiasi e vieni
a trovarmi
imbocca il
meno adatto o il più
corto
tanto
troverai sempre la porta
spalancata
sentirai
l’odore insopportabile
di quel
povero noi
fatto in
mille pezzi
e quando
deciderai d’andartene
lo farai con
l’aspetto tranquillo
di chi ha
parlato a lungo
in un salotto
buono pieno di
cani e gatti.
L’intruso
In fondo si sta bene
nella vasca
dei pesci
la bocca
dilatata
per mancanza
d’ossigeno
il colloquio
ridotto al
minimo
un Sì,
un No
la testa
giù o su
a destra, a
sinistra
con un
braccio lungo un dito
a puntellare
la pesantezza
d’una piccola
testa
viscida, da
lombrico.
Che poi sarebbe
l’oggetto
utilizzato
per timbrare
i messaggi
gli scritti
che spedisco
(o che vorrei
spedire)
a
persone-amici
mai prima
conosciuti
e che forse
mai
conoscerò
con i quali
ho tutto
e niente da
spartire.
Immersioni
Penso che non abbia
sofferto molto
vedi, ha le
mani rilassate
la faccia
viola e gonfia
ma non
contratta
come un pugno
sferrato allo
stomaco.
Alle sette dopo l’immersione
la solita
morte imprevista
dovuta ai gas
di scarico
della
marmitta collegata
con un tubo
all’abitacolo.
Nell’auto in sosta
a due passi
dallo stadio
una vecchia
berlina
a quattro
sportelli
con le gomme
lisce
l’antenna
della radio
spezzata.
- Lo stendi tu il verbale?
Tasche
vuote
Perché poi si finisce
col consumare
il resto dei
giorni
in amori da
quattro soldi
reclusi
in scatole
cinesi
e quando si
vien fuori
ci si ritrova
cancellati
dal mondo.
Confesso di temere
di finirci
dentro anch’io
col misero
guardaroba
dei
travestimenti
in tasca il
passaporto
la domanda
già
pronta delle dimissioni.
Per questo, a volte
accendo una
candela
traccio
percorsi
all’irriconoscibile
ripristino il
sorriso originario
curo i denti
guasti
ravvivo con
il fuoco
lo sguardo
addormentato.
Disgelo
A terra un piccolo lago
è
ciò che resta
della paura,
del freddo.
Certo “a chi, o cosa significa”
non è
dato saperlo
ma almeno
c’è il coraggio
di agire
di spalancare
la bocca
fare uscire
dal corpo
una voce
nuova.
A casa fuma il caffè sulla
stufa
c’è un
tepore dolce
il fuoco
è acceso
sulla tavola
sono ricomparse
persino le
stoviglie.
Fiume
morto
Dopopranzo di getto mi butto sul
letto
magari, mi
dico, per un po’ sto
calmo
e non ci
penso.
Invece non
dormo
non chiudo
occhio neanche un
momento
perché
le labbra hanno
sempre
qualcosa da
bisbigliare
non so
nemmeno io a chi
ma quelle
frasi
mi restano
dentro a sconquassare
ciò
che resta d’una giornata
avara
di calma e di
sole.
Troppo spesso
mi dimentico
di dimenticare
chi sono
da dove
provengo
per questo
poi non vado
da nessuna
parte
così a
letto
mi chiedo che
ci faccio
e nei sogni
perché
non dormo.
E’
come se fossi arrivato
E’ come se fossi arrivato
troppo tardi,
mi dico
mentre falcio
l’erba alta
o annaffio
gli ulivi
che hanno
appena un anno
piantati con
mio padre
dopo aver
strappato alla terra
quelli morti,
o ammalati.
E’ come se fossi inchiodato
allo stesso
divisorio orientale
o al
grattacielo americano
che si
disintegra con un boato.
Solido e impenetrabile
calcificato
dalla storia
però
ugualmente
cito a memoria
i passi lunghi
i più
importanti
di questa
insolita
ma ben salda
deriva.
La promessa è lo stupore
di un solco
preciso e
profondo
tracciato non
nella polvere
ma nella
realtà, nel presente
di questo
paterno terreno.
Come se a
sorpresa
fosse arrivata
l’ora della
semina.
Certo
non dissento, e dopo che farei?
Certo non dissento, e dopo che
farei?
Però
nel frattempo rinnovo
casa
mi trasferisco
in un angolo
di strada.
Sì,
trasloco fuori città
magari in un
bosco
mi stabilisco
in una quercia
cava.
Un mondo rinforzato da vitamine
e sali minerali
certo
più sicuro per via
degli antifurti
delle porte
blindate, dei cancelli
sbarrati
con paletti e
lucchetto
di
libertà sigillate in
cassaforte
in attesa di
tempi migliori
di un nuovo
perfetto equilibrio.
Non sentirò il bisogno
d’avere una
parte di tutto.
Avrò
poco e quel poco
mi basterà,
non
sentirò la fretta
di consumarlo.
Farò a
meno d’appigli
e stampelle
lascerò
la porta spalancata
sarò
felice di ricevere
ospiti e amici.
Tanto la pioggia cancellerà
le impronte
diverrà
impossibile tornare
indietro.
Tra
gli alberi la muffa
Tra gli alberi la muffa
della buona
educazione
il freddo che
piega
l’azzurro del
cielo
si riesce
persino a spezzarlo
in frammenti
di roccia
che diventano
bulldozer
rulli
compressori
che senza
sosta
livellano
l’orizzonte
persino le
escrescenze
dei rami, dei
tronchi
del corpo
i brufoli
infiammati
del malumore.
Le dita nude dei piedi
accarezzano
l’erba
fanno il
solletico alle ore
che qui
trascorrono
veloci
poi,
lentamente
tornano
indietro.
Ecco,
ti raggiungo a fine agosto
Ecco, ti raggiungo a fine agosto
e già
nel tuo sguardo
leggo
l’inizio
dell’autunno.
Gli alberi senza foglie
l’erba
secca, ingiallita
il
sentiero ricoperto
dalle
spine, dall’ortica.
C’è tristezza nel grido
tardivo degli
uccelli.
Appaiono
stanchi e svogliati
come se
volassero nell’acqua
per questo
muovo i passi
con prudenza,
a rilento.
Mi affaccio in un luogo segreto
ma allargato
allo sguardo
alle mani
degli altri
alle braccia
di tutti
al volto
esteso
millenario
del mondo.
Il
sole in un buco
C’era uno storpio
per strada
che non ci vedeva
noi facevamo
finta di niente
ce ne stavamo
appostati
dietro la
casa a chiacchierare
a masticare
gomma americana.
Poi ci fu un tremendo acquazzone
che
bloccò la polvere
delle strade
diluì
i colori dei muri
dei palazzi
affossò
gli orti dei pensionati
il giardino
della piazza principale
strapazzò
alberi dall’esile
tronco
il vento
piegò persino
un lampione.
Lo storpio si mise a correre
con le mani
che annaspavano
il vuoto che
gli stava intorno
noi facevamo
finta di niente
ce ne stavamo
nascosti
dentro la casa
a guardare la
strada
a
passarci
una sigaretta
dietro l’altra.
Da allora il sole non venne più
fuori
dovevamo fare
la fila per vederlo
strozzato
dentro un buco
giù,
giù in fondo.
Assalti
laterali
Sulla cima della montagna
restavano tre
spine
corte quanto
un Brando spezzato
ma incuranti
della pioggia e
del vento.
Tutt’intorno un giro vorticoso
di nuvole in
preda alle derive
il fracasso
dei tuoni
il bagliore
dei lampi.
Giù nella valle una schiera
di case
e fra quelle
la nostra
che
imputridiva in una solitudine
microscopica
ma inaccessibile
come una
cassaforte
tascabile, a
prova di bomba.
L'imbuto
Nel sonno le domande
dolgono e
dilagano
son frecce
nella carne
libellule che
frusciano
stoviglie
che tornano a
volare.
Macchinisti divorano
enormi panini
schegge di
sole si fanno
sale sulle
piaghe
sulle
profonde ferite
e l’imbuto
raccoglie
distilla
le fitte di
dolore.
Privo di parole
il sonno
sbanda in
curva
deborda e
travolge
il futuro
che bussa
alla porta
pallido
più che mai.
Breve
rapporto dopo il diluvio
Troppo spesso
mediocri
sofferenze
rendono
inutilizzabili
le pompe
idrauliche
i tubi
catodici.
Bucano serbatoi
spaccano
valvole
fanno saltare
in aria
gli scarichi
dei bagni.
S’allagano baracche
e
appartamenti di lusso
il condominio
sprofonda
nella melma
e la
città galleggia
su una specie
di zattera.
Dicono che questo
sia soltanto
l’inizio
che fra poco
verremo
sommersi del
tutto
e ogni barca
ogni relitto
scivolerà
nel vuoto.
Urge allora sapere:
a che serve
restare
con il dito
nel buco?
La
vecchia casa
I ritratti illividiti degli avi
ai muri
scalcinati delle stanze
con sforzi
primordiali
eravamo
riusciti
a mettere a
nudo
le origini
remote
della nostra
famiglia.
Le alte finestre spalancate
ci
permettevano di respirare
di far venire
dentro
l’aria fresca
e la luce
del giardino,
di ricordarsi
che fuori
era tutta
un’altra storia.
Mi aspettavi in cortile
allungando
calci alla ghiaia
le orecchie
protese ai rumori.
I cani erano
morti da tre giorni
l’oscurità
allungava la
casa
infoltiva la
siepe
innalzava i
cipressi.
Squillò il telefono
più a
lungo del previsto
nessuno si
precipitò a
rispondere
però
ci fu un dialogo
silenzioso
tra noi che
andavamo via
e i tanti che
in quell’edificio
avevano
trascorso i loro
giorni.
Alessio
Brandolini
E' nato
a Frascati (Roma) nel 1958. Laureato in Lettere moderne lavora presso
il Senato della Repubblica.
Ha esordito
come poeta nel 1989 sulla rivista Galleria, diretta da Leonardo
Sciascia.
Nel 1991 ha vinto nella sezione inediti del “Premio Montale” con una
silloge
poetica, poi pubblicata da Scheiwiller. Nel 2002 ha pubblicato
“Divisori
orientali”, una raccolta di poesie alla quale è stato attribuito
il “Premio Alfonso Gatto 2003 - Opera prima”.
Suoi testi
sono sparsi su antologie e riviste.
E' tra
i redattori del sito gialloWeb che si occupa di letteratura a
sfondo
noir (www.gialloWeb.net).
L’alba
a
piazza Navona (1992, Scheiwiller - “Premio Montale 1991 - Sezione
inediti”)
Divisori
orientali (2002, Manni Editore - “Premio Alfonso Gatto 2003 - Opera
prima”)