VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Alessio Brandolini
Nota biobibliografica

   
Frammenti dopo l'esplosione
L’intruso
Immersioni
Tasche vuote
Disgelo
Fiume morto
E’ come se fossi arrivato
Certo non dissento, e dopo che farei?
Tra gli alberi la muffa
Ecco, ti raggiungo a fine agosto
Il sole in un buco
Assalti laterali
L'imbuto
Breve rapporto dopo il diluvio
La vecchia casa

 

Frammenti dopo l'esplosione
 

Potrei iniziare dalla stanza accanto
quella sigillata ieri notte dalla Squadra Omicidi
ma l’odore sarebbe insopportabile
di quel povero noi
fatto in mille pezzi.

Meglio allora incontrarci a casa mia
nel salotto buono pieno di cani e gatti
lì potremo parlare con calma
sottolineare i passi importanti
dividere gli utili, scorporare l’Iva e le tangenti
fare i calcoli più assurdi per poi brindare
alla vita, alle donne, ai soldi.

Tutti i fiumi sotterranei sono abili nuotatori
prendine uno qualsiasi e vieni a trovarmi
imbocca il meno adatto o il più corto
tanto troverai sempre la porta spalancata
sentirai l’odore insopportabile
di quel povero noi
fatto in mille pezzi
e quando deciderai d’andartene
lo farai con l’aspetto tranquillo
di chi ha parlato a lungo
in un salotto buono pieno di cani e gatti.

 
L’intruso
 

In fondo si sta bene
nella vasca dei pesci
la bocca dilatata
per mancanza d’ossigeno
il colloquio
ridotto al minimo
un Sì, un No
la testa giù o su
a destra, a sinistra
con un braccio lungo un dito
a puntellare la pesantezza
d’una piccola testa
viscida, da lombrico.

Che poi sarebbe
l’oggetto utilizzato
per timbrare i messaggi
gli scritti che spedisco
(o che vorrei spedire)
a persone-amici
mai prima conosciuti
e che forse
mai conoscerò
con i quali ho tutto
e niente da spartire.

 
Immersioni
 

Penso che non abbia 
sofferto molto
vedi, ha le mani rilassate
la faccia viola e gonfia
ma non contratta
come un pugno
sferrato allo stomaco.

Alle sette dopo l’immersione
la solita morte imprevista
dovuta ai gas di scarico
della marmitta collegata
con un tubo all’abitacolo.

Nell’auto in sosta
a due passi dallo stadio
una vecchia berlina
a quattro sportelli
con le gomme lisce
l’antenna della radio
spezzata.

- Lo stendi tu il verbale?
 

 
Tasche vuote
 

Perché  poi si finisce
col consumare
il resto dei giorni
in amori da quattro soldi
reclusi
in scatole cinesi
e quando si vien fuori
ci si ritrova
cancellati dal mondo.

Confesso di temere
di finirci dentro anch’io
col misero guardaroba
dei travestimenti
in tasca il passaporto
la domanda
già pronta delle dimissioni.

Per questo, a volte
accendo una candela
traccio percorsi
all’irriconoscibile
ripristino il sorriso originario
curo i denti guasti
ravvivo con il fuoco
lo sguardo addormentato.

 
Disgelo
 

A terra un piccolo lago
è ciò che resta
della paura, del freddo.

Certo “a chi, o cosa significa”
non è dato saperlo
ma almeno c’è il coraggio
di agire
di spalancare la bocca
fare uscire dal corpo
una voce nuova.

A casa fuma il caffè sulla stufa
c’è un tepore dolce
il fuoco è acceso
sulla tavola sono ricomparse
persino le stoviglie.

 
Fiume morto
 

Dopopranzo di getto mi butto sul letto
magari, mi dico, per un po’ sto calmo
e non ci penso.
Invece non dormo
non chiudo occhio neanche un momento
perché le labbra hanno sempre
qualcosa da bisbigliare
non so nemmeno io a chi
ma quelle frasi
mi restano dentro a sconquassare
ciò che resta d’una giornata
avara
di calma e di sole.

Troppo spesso
mi dimentico di dimenticare
chi sono
da dove provengo
per questo poi non vado
da nessuna parte
così a letto
mi chiedo che ci faccio
e nei sogni
perché non dormo.
 

E’ come se fossi arrivato

E’ come se fossi arrivato
troppo tardi, mi dico
mentre falcio l’erba alta
o annaffio gli ulivi 
che hanno appena un anno
piantati con mio padre
dopo aver strappato alla terra
quelli morti, o ammalati.

E’ come se fossi inchiodato
allo stesso divisorio orientale
o al grattacielo americano 
che si disintegra con un boato.

Solido e impenetrabile 
calcificato dalla storia
però ugualmente
cito a memoria
i passi lunghi
i più importanti
di questa insolita
ma ben salda deriva.

La promessa è lo stupore
di un solco
preciso e profondo
tracciato non nella polvere
ma nella realtà, nel presente
di questo paterno terreno.
Come se a sorpresa
fosse arrivata
l’ora della semina.

 
Certo non dissento, e dopo che farei?

Certo non dissento, e dopo che farei?
Però nel frattempo rinnovo casa
mi trasferisco
in un angolo di strada.
Sì, trasloco fuori città
magari in un bosco
mi stabilisco in una quercia cava.

Un mondo rinforzato da vitamine e sali minerali
certo più sicuro per via degli antifurti
delle porte blindate, dei cancelli sbarrati
con paletti e lucchetto
di libertà sigillate in cassaforte
in attesa di tempi migliori
di un nuovo perfetto equilibrio.

Non sentirò il bisogno
d’avere una parte di tutto.
Avrò poco e quel poco mi basterà,
non sentirò la fretta di consumarlo.
Farò a meno d’appigli e stampelle
lascerò la porta spalancata
sarò felice di ricevere ospiti e amici.

Tanto la pioggia cancellerà le impronte
diverrà impossibile tornare indietro.
 

Tra gli alberi la muffa
 

Tra gli alberi la muffa
della buona educazione
il freddo che piega
l’azzurro del cielo
si riesce persino a spezzarlo
in frammenti di roccia
che diventano bulldozer
rulli compressori
che senza sosta
livellano l’orizzonte
persino le escrescenze
dei rami, dei tronchi
del corpo
i brufoli infiammati
del malumore.

Le dita nude dei piedi
accarezzano l’erba
fanno il solletico alle ore
che qui trascorrono
veloci
poi, lentamente
tornano indietro.
   

Ecco, ti raggiungo a fine agosto
 

Ecco, ti raggiungo a fine agosto
e già nel tuo sguardo leggo
l’inizio dell’autunno.

  Gli alberi senza foglie
  l’erba secca, ingiallita
  il sentiero ricoperto
  dalle spine, dall’ortica.

C’è tristezza nel grido
tardivo degli uccelli.
Appaiono stanchi e svogliati
come se volassero nell’acqua
per questo muovo i passi 
con prudenza, a rilento.

Mi affaccio in un luogo segreto 
ma allargato allo sguardo  
alle mani degli altri
alle braccia di tutti
al volto esteso
millenario del mondo.

 
Il sole in un buco
 

C’era uno storpio 
per strada che non ci vedeva
noi facevamo finta di niente 
ce ne stavamo appostati
dietro la casa a chiacchierare
a masticare gomma americana.

Poi ci fu un tremendo acquazzone
che bloccò la polvere delle strade
diluì i colori dei muri dei palazzi
affossò gli orti dei pensionati
il giardino della piazza principale
strapazzò alberi dall’esile tronco
il vento piegò persino un lampione.

Lo storpio si mise a correre
con le mani che annaspavano
il vuoto che gli stava intorno
noi facevamo finta di niente
ce ne stavamo nascosti
dentro la casa
a guardare la strada
a passarci 
una sigaretta dietro l’altra.

Da allora il sole non venne più fuori
dovevamo fare la fila per vederlo
strozzato dentro un buco
giù, giù in fondo.
 

 
Assalti laterali
 

Sulla cima della montagna
restavano tre spine
corte quanto un Brando spezzato
ma incuranti della pioggia e del vento.

Tutt’intorno un giro vorticoso
di nuvole in preda alle derive
il fracasso dei tuoni 
il bagliore dei lampi.

Giù nella valle una schiera di case
e fra quelle la nostra
che imputridiva in una solitudine
microscopica ma inaccessibile
come una cassaforte
tascabile, a prova di bomba.

 
L'imbuto
 

Nel sonno le domande 
dolgono e dilagano
son frecce nella carne
libellule che frusciano
stoviglie
che tornano a volare.

Macchinisti divorano
enormi panini
schegge di sole si fanno
sale sulle piaghe
sulle profonde ferite
e l’imbuto raccoglie
distilla
le fitte di dolore.

Privo di parole
il sonno
sbanda in curva
deborda e travolge
il futuro
che bussa alla porta
pallido più che mai.
 

Breve rapporto dopo il diluvio
 

Troppo spesso
mediocri sofferenze
rendono inutilizzabili
le pompe idrauliche
i tubi catodici.

Bucano serbatoi
spaccano valvole
fanno saltare in aria
gli scarichi dei bagni.

S’allagano baracche
e appartamenti di lusso
il condominio
sprofonda nella melma
e la città galleggia
su una specie di zattera.

Dicono che questo
sia soltanto l’inizio
che fra poco verremo
sommersi del tutto
e ogni barca
ogni relitto
scivolerà nel vuoto.

Urge allora sapere:
a che serve restare
con il dito nel buco?

 
La vecchia casa
 

I ritratti illividiti degli avi 
ai muri scalcinati delle stanze
con sforzi primordiali
eravamo riusciti
a mettere a nudo 
le origini remote 
della nostra famiglia.

Le alte finestre spalancate
ci permettevano di respirare
di far venire dentro   
l’aria fresca e la luce 
del giardino, di ricordarsi 
che fuori
era tutta un’altra storia.

Mi aspettavi in cortile 
allungando calci alla ghiaia
le orecchie protese ai rumori.
I cani erano morti da tre giorni
l’oscurità allungava la casa
infoltiva la siepe
innalzava i cipressi.

Squillò il telefono
più a lungo del previsto
nessuno si precipitò a rispondere 
però ci fu un dialogo silenzioso
tra noi che andavamo via 
e i tanti che in quell’edificio
avevano trascorso  i loro giorni.



Alessio Brandolini

E' nato a Frascati (Roma) nel 1958. Laureato in Lettere moderne lavora presso il Senato della Repubblica.  
Ha esordito come poeta nel 1989 sulla rivista  Galleria, diretta da Leonardo Sciascia. Nel 1991 ha vinto nella sezione inediti del “Premio Montale” con una silloge poetica, poi pubblicata da Scheiwiller. Nel 2002 ha pubblicato “Divisori orientali”, una raccolta di poesie alla quale è stato attribuito il “Premio Alfonso Gatto 2003 - Opera prima”. 
Suoi testi sono sparsi su antologie e riviste. 

E' tra i redattori del sito gialloWeb che si occupa di letteratura a sfondo noir (www.gialloWeb.net).  

L’alba a piazza Navona  (1992, Scheiwiller - “Premio Montale 1991 - Sezione inediti”)
Divisori orientali (2002, Manni Editore - “Premio Alfonso Gatto 2003 - Opera prima”)


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