Annalisa
Rocco La Spina
Le mani intorno
Come i sassi
Fabio Moncini
Annalisa
Annalisa è minuta. Si potrebbe
dire piccola o bassa o in tanti altri modi, ma lei è
precisamente
minuta.
Annalisa ha lunghi capelli rossi
ed efelidi leggere sul volto. Il volto è tenue gli occhi
azzurri,
senza arroganza.
Annalisa profuma, ha un profumo
di selvatico che a starle troppo vicino ti invade la testa.
Mi sono incontrato una volta, forte,
con Annalisa, molti anni fa, e non ci ho capito nulla. Non ho capito se
l’avevo presa io o lei aveva preso me o entrambi, ricordo il profumo
dei
suoi capelli rossi, intensi.
Non ho capito chi era che aveva
lasciato l’incontro senza un seguito e ho voluto credere di essere
stato
io. Anche lei ha voluto credere che fossi stato io poiché dopo
molti
anni ha gradito le mie scuse.
Dopo molti anni non ho avuto il
coraggio di prenderla ancora, non ha avuto il coraggio di prendermi
ancora,
con tenerezza diversa, e le mani nei suoi capelli rossi.
Io allora l’ho salutata con inviti
a tornare, ma senza più cercarla, lei non ha detto di no, ma
l’ha
nascosto male ed il suo no, seppure le pesasse, si scorgeva tra i suoi
capelli rossi.
Le ho detto che sapeva dove trovarmi,
ha risposto che non basta, a volte, sapere dove si trova la persona che
desideri. Ci sono distanze che non si misurano in chilometri, ma in
affetti
messi in mezzo. Non rompo affetti per antica abitudine, soltanto quelli
che già mi appartengono, a volte, senza malizia. Non rompo
affetti
altrui, ho passi prudenti nelle case composte e questo spesso pare
disinteresse.
Ho passi di corsa nelle case vuote, come se soccorressi solitudini,
questo
spesso viene scambiato per una richiesta di durata e sembra aggressivo.
Non ho la misura delle relazioni, ho la misura del rispetto, per quello
che conta. Annalisa e i suoi capelli rossi li ho pensati, a volte, in
questi
anni, lei mi ha pensato più spesso, con meno intensità
forse,
più regolarità.
Sono stato di nuovo prudente con
Annalisa e le ho lasciato la libertà di dimenticarmi, di
raffreddarmi
nel ricordo, solo un biglietto molto tenue, molti giorni dopo. Un
intervento
immediato nella sua vita me l’avrebbe consegnata grazie ad una
temperatura
molto alta. Era un gioco sporco, avrei ripetuto le stesse scene di
molti
anni fa e non volevo.
Sinceramente spero che abbia capito.
Sinceramente spero che un giorno
non lontano Annalisa suoni alla mia porta e mi consegni qualche giorno
soltanto della sua vita, altro sarebbe troppo per entrambi, meno
sarebbe
un rimpianto per gli anni a venire.
Rocco
La Spina
Si chiamava Rocco La Spina, un nome
e cognome arroganti messi insieme, si addicevano solo alla sua voce,
grattata,
di gola. Aveva una voce irreale, come carta catramata su ferro, eppure
bassa, voce da fumatore cinquantennale, a due pacchetti al giorno.
Spiegava chimica e biologia,
probabilmente
avrebbe voluto raccontare storie, e si era adattato alla disciplina di
quelle materie raccontando sempre le stesse, anche le battute erano
sempre
quelle. Non incantava, ma si intuiva l’umanità.
Invitava tutti i giorni ad essere
interrogati, verso la fine dell’anno quelli che avevano insufficienze
nelle
sue materie, bocciava solo i renitenti, quelli che nemmeno
provavano.
Usava gessi colorati, come segno
di attenzione nei nostri confronti, per distinguerci gli elementi. Non
era un professore moderno, chiedeva le formule, voleva disciplina, pure
non era capace di gridare, alla nostra confusione usciva, per rientrare
quando ci eravamo calmati. Ci rispettava, questo si capiva e non
prestavamo
attenzione, quindi ci rispettava molto. Una faccia da mastino piegata
al
sorriso, tra le molte rughe, mai al ringhio.
Ebbe un cancro, lento, che ce lo
portò via nel penultimo anno di liceo. Salimmo all’ospedale e fu
come una gita scolastica pomeridiana, tutti insieme, anche quelli che
il
pomeriggio non si vedevano mai perché venivano dalla campagna.
Ci accolse con allegria. Lo trovammo
dimagrito in maniera imbarazzante, giallo, nulla dell’energia che
usciva
dal suo sfregare gessi colorati alla lavagna. Fu imbarazzante, dopo
pochi
minuti non sapevamo più che dire, ebbe un gesto che non
dimenticammo,
ci disse che aveva da fare, lui, lì, e ci congedò, per
salvarci
dalla nostra incapacità di dire.
Tornò a scuola per un mese
ancora, un tentativo estremo di vivere come ne avesse ancora, di vita,
ci fu un otto marzo, festa della donna, omaggiammo le compagne di mazzi
di carciofi. Rocco La Spina ridette moltissimo di questo gesto e ci
ringraziò
per averlo fatto ridere, ci disse che questo era importante.
Morì pochi giorni dopo, al
suo funerale mi si sciolse un pensiero che si era aggrumato
all’ospedale.
I professori, incredibilmente lo scoprivo, avevano una vita al di
là
della mattina, al di là della cattedra, al di là di noi,
avevano dolori e gente che li piangeva, la scuola non fu più la
stessa con quel pensiero.
Fai piano
silenzio,
un silenzio
odoroso
(di basilico e
menta)
non darmi, ti
prego
un silenzio
oneroso.
E ascolta con garbo
la poesia che ci
metto
nei particolari:
il prosciutto
più rosso,
il melone maturo,
le stoviglie
uguali,
una bottiglia
studiata nell’anno,
il vitigno e il
sapore
e ascoltane
l’odore.
Da questi soltanto, ti prego,
non da ogni
parola,
guarda se trovo
posto
tra le tue
magliette viola.
In preparazione
della serata con
me
sto mettendo in
ordine i ricordi
ne approfitto
per aggiornarli
con nuove
creazioni.
Ultimamente, l’ho già detto?,
salto pasti
senza accorgermi
ma i pensieri
non hanno
requie, e si imbandiscono
da soli
ad ogni ora
fissata, sulla carta,
e si impongono
alla mia cortese
attenzione.
E allora, non opporsi è il
segreto,
faccio
l’inventario, ecco:
un suono a morto
e il volto,
un dialogo
sbagliato (sarebbe bastata
una parola diversa?)
una gioia che
nemmeno la capivi
(era dove? ho
perso i contorni,
li rifaccio),
i libri e le
storie,
un lago di vino
in una notte,
alcune date,
molte prese,
e poi tutti i
sorrisi delle facce
femminili
(alcuni nudi),
e la
sensualità delle urla
di trionfo
di un gioco
maschile,
e di nuovo le
parole, stavolta tagliate
giuste,
ma giuste a fare
male,
e la tua faccia
in tutte le misure,
in mezzo alle
altre, da un sipario,
da dietro un
altro ricordo,
dalle notti e
dai giorni.
Trovo un gatto
strano,
un riccio, una
notte stellata,
il sangue dal
naso,
e trovo le cose,
i lavori,
le poesie di
Lino con quel verso
delle amarene.
Questo mi rimane
posso mangiare o
mi faranno male?
Le
mani intorno
Mi asciugo con quello rosso le mani,
l’altro serve ai
piatti,
mi asciugo la
faccia
che non si
dovrebbe lavare in cucina.
Ti affacci alla finestra
e fai una faccia
che sembra una
collina
una faccia in
salita.
Io la tua faccia la penso
ormai non la
vedo da mesi
e mi sembra
ieri, tu pensa,
sdraiati sul tuo
divano
le mani intorno
ai tuoi fianchi
e mi chiedevi
“ma tu mi ami?”
fermavo ogni cosa
come se la
domanda
fosse pericolosa.
Adesso per non mostrarmi
le mani le ho
intorno alla faccia
perché ho
dentro un tempo
nuvolo
non so se
pioverà, ma minaccia.
Come
i sassi
Non siamo rientrati nei tempi.
Negavi conferme alle stanche richieste
Negavi attenzione
Negavo futuro e promesse
le cose da fare,
da sempre,
un cinema, un
giro, la televisione
da sempre le
stesse,
persino l’amore.
E poi ti stupivo ogni tanto
con
un’attenzione:
una cosa strana,
magari un
aquilone,
colorato,
(che poi si
impigliasse
e cadesse era
davvero un peccato).
Eppure sui tempi ci siamo fregati
e il gioco si
è perso su
quelli
alla tua noia ti
amavo,
mi amavi alle
mie incertezze,
mai avuto gli
stessi passi
e quando ti
parlavo, serio,
pensavi che
scherzassi.
Ricordi quell’erba di Anghiari, le
liti,
il pic-nic
preparato da te,
con cura
commovente (alla bocca
ed al cuore)
ricordo quel
gesto di amore
io quello
chiedevo,
tu mi chiedevi
certezze.
Ricordo al mattino i tuoi passi
sul pavimento di
casa tua,
i tuoi in
vacanza,
ricordo l’amore,
quasi in ogni stanza
(i primi tempi,
ricordi?)
ricordi i miei
passi al mattino?
avevo andature
pesanti
come i sassi.
Come i sassi
è stato il nostro
amore
forte,
invincibile, ricco di dolore.
E il dolore ci
è sopravvissuto
non che siamo
morti
(magari sei
persino felice)
ma la nostra
relazione
è finita
come il mio aquilone.
Fabio
Moncini
Fabio Moncini è grigio.
Fabio Moncini ha trent’anni, ma
è completamente grigio e non si intenda soltanto nei capelli, i
quali per altro, incredibilmente, sono già tutti grigi e
bianchi,
ma dentro, nell’anima, nell’aspetto, nella voce, nei gesti, nelle
parole.
Fabio Moncini è bassoccio,
grassoccio, con una faccia tonda e lineamenti da porcello.
Fabio Moncini vive con i genitori,
non si è mai laureato, non ha mai fatto un mestiere, vive
un’esistenza
vicaria, attendendo i tempi di un amico che ha bisogno di gente
sottomessa
e grigia, per non sbagliare, per non vedere il proprio rimandare la
vita,
ma questo è dell’amico, Fabio Moncini non ha un’esistenza da
rimandare.
Fabio Moncini fuma, beve, ama lo
sport, alla televisione, non potrebbe, d’altronde, essere altrimenti,
non
potrebbe poiché il tempo dell’attesa deve riempirsi in qualche
modo.
Attende, probabilmente la propria fine oppure di cominciare a vivere.
Saltuariamente Fabio Moncini ha
dei pensieri, che si possono classificare in questo modo, essendo
essenzialmente,
pensieri di tre tipi, accomunati dal grigio:
1) Pensieri
contro la società
2) Pensieri
contro qualcuno che
costruisce qualcosa
3) Pensieri
contro la vita
Fabio Moncini non ha però
né la vitalità del terrorista, né quella
dell’assassino,
né il coraggio del suicida, altrimenti sarebbe tutte e tre le
cose.
Fabio Moncini ha la capacità
di rendere triste una serata allegra, di parlare male di qualsiasi
cosa,
di criticare e fare sarcasmo (triste anch’esso) su qualsiasi argomento.
Fabio Moncini è divenuto
alessitimico per difesa, mai avuta una donna, mai una storia, nemmeno
corsiva.
Fabio Moncini, nonostante tutto
questo, è così insopportabilmente presuntuoso che ti
viene
da augurargli la vita che ha già.
Fabio Moncini, semplicemente, ha
rubato l’esistenza ad un bambino mai nato.
Il mondo non si è probabilmente
mai accorto che Fabio Moncini esiste, qualora morisse avrebbe un
funerale
con venti persone, parenti compresi, queste righe sono l’unica
(insufficiente)
cosa che possa in qualche modo giustificarne l’esistenza.
Federico
Batini (Arezzo, 1971) laureato in Lettere (Firenze e Losanna) ed in
Scienze dell’Educazione
(Siena), Master in Gestione dei Processi Formativi, diplomato in
Scienze
Religiose, specializzato in Progettazione Formativa ed in Didattica
Interculturale
è dottorando di ricerca in Scienze dell’Educazione presso
l’Università
di Padova. Ha svolto attività di ricerca sui processi formativi,
come borsista, presso l’Università di Siena e collabora al
Dipartimento
di Scienze dell’Educazione della stessa Università. Responsabile
Formazione Ucodep-Movimondo Toscana. Svolge attività di
counselor,
formatore, orientatore, progettista, consulente per Scuole, Enti,
Università,
aziende ed agenzie su tutto il territorio nazionale. Ha fondato e
dirige
PratiKa, società di formazione, orientamento, counseling e
consulenza.
Collabora a numerose riviste, nazionali ed internazionali, in
particolare
sui temi della formazione e dell’orientamento. Tra le ultime
pubblicazioni:
F. Batini, Guida alla Formazione ed all’orientamento, Divisione
Generale V, Comunità Europea, Amministrazione Provinciale di
Arezzo
(1999); “Formare al potere, formare il potere, eliminare il potere”
in: “Potere e soggetto nella società contemporanea” a
cura
di S. Berni ed A. Spini, Angeli, (2000); F. Batini, R. Zaccaria, a cura
di, Per un orientamento narrativo, Angeli (2000); F. Batini (a
cura
di), Tra utopia e realtà: per un’educazione alla pace,
Angeli
(2001); F. Batini, Lo sguardo che carezza da lontano. Per una
formazione
alla relazione di aiuto, Angeli (2001); F. Batini, A, Falsini, Verso
l’isola dell’impiego, Angeli (2001); F. Batini, A. Fontana, Comunità
di apprendimento, Milano, (2001).
Ha
vinto numerosi premi di saggistica letteraria (Premio Nazionale
Casentino,
Premio Città di Caserta, Premio città di Lanciano). Sta
preparando
due volumi di saggistica letteraria (due monografie una in stampa ed
una
in preparazione); un volume di poesie, uno di racconti e due volumi per
bambini illustrati da Luca Ralli. Per il musicista Federico Terenzoni
ha
scritto i testi del disco “Cantami i tuoi sogni”, attualmente in fase
di
registrazione.
E’
la Guida del Portale Supereva per “Letteratura e poesia contemporanea”:
http://guide.supereva.it/t1/letteratura_e_poesia_contemporanea/