dalla
raccolta inedita “L'ospite indocile”
Sta in
quel
di più – visione delle madri
lei che
parla
senza staccare la lingua dal dolore
e
continuamente lo rifà presenza
di se
stessa
e di quel che
del suo
motivo le avanza.
***
Qui
stanno
gli anni, le storie inconcluse,
gli
sguardi
senza più coraggio,
le
assenze
dentro i sogni
o le
troppe
presenze ancora
ancora
senza
degna sepoltura. Per questo
sarebbe
meglio cambiare il pensiero
ora che
è
cambiato il millennio
e il
silenzio
si è fatto più fitto
e le
parole
avvizziscono
così
che si
diradi questa luce bruna
e la
paura
sorrida di sé
e
sollevi il
capo dal risentimento.
***
Dice che
non
c'è addio nelle asole
e asola
allora sia:
poca
materia
intorno e vuoto.
Sia
passaggio
e allaccio
sia lo
spazio
dell'abbraccio e del ritorno
sia
pertugio
e rifugio
sia il
chiuso
esposto alla parola.
***
La
guerra
finì
e loro
che
c'erano nati dentro
ne
uscirono
con vaghi ricordi
di
allarmi e
vermi nella minestra.
E nonna,
quella di cui porto metà del nome,
persa
nella
continuità spazio temporale,
è
malamente è
malamente, ripeteva
e quando
le
offrivano del vino
na cria diceva,
una goccia, una lacrima.
No cry
nonna
no cry
passati
ormai
a un'altra storia
a
un'altra
guerra di tutto il lascito
ce ne
resta na
cria.
***
Sembrava
facile
pensare che potesse essere tutto lì.
C'era il
sole, il vociare del vento, c'era l'infanzia con le altalene
a filare
il
tempo, c'erano i prati, gli alberi, il loro verde
materiale
e
mutevole e c'era un poco d'ombra
per non
socchiudere troppo gli occhi.
Sembrava
facile, sì, pensare che potesse essere tutto
in
quella
luce a strati, nel desinare chiaro della rondine,
nel
lavorio
della formica, nella liturgia della morte,
nella
sua
sonora pietra. Felice di nulla edificare.
***
Sommale
le storie, fanne cifre aguzze
come gli
anni di quelli vissuti
sulla
capocchia di uno spillo;
prendimi
il fiato, la rincorsa;
trattienimi
dentro silenzi
in
ascolto delle radici,
del
crescermi dell'anima
mentre
scrivo per sapere cosa è natura
e cosa
è
sostanza e come fa a essere buono
un
frutto
o un uomo.
***
Non so
quale felicità avremmo vissuto,
o quale
guancia avremmo offerto all'offesa
se
felicità c'è stata, se c'è stata offesa.
Così
lo
scrivo, ne faccio segno,
per
capire come si spiega l'albero la potatura,
il
papavero
lo strappo
i
bambini
il tempo e lo spazio:
- dove
va
la notte quando è giorno?
-
mezz'ora è tanto o poco?
O come
si
spiega il vuoto degli esseri
che ci
stanno accanto come un'assenza
o il
senso irsuto della vita,
il suo
difficile che diventa facile
quando
cominci ad amare.
***
Prima il
compito
il dovere
del
sì detto
d'incanto
e poi la
prova
la misura
della
visione
e della
stonatura.
Le coste
hanno luce
di rami
spezzati
e gli
schiocchi del mare
mordono
il
fiato al vento.
Risale a
fatica l'orizzonte
col
senso di
noi offerti
in
sacrificio alla creazione.
***
Andava
incontro al padre
lo
rimetteva
al passo,
al
presentimento postumo.
Fate
presto, fu
ciò che in ultimo
udì
da lui -
vero di voce.
Voce
rimasta
a vibrare
in
qualche
punto indeterminato,
catturata
dove la memoria
non
è
questione di sinapsi e neuroni
piuttosto
del
moto armonico semplice dell'amore
che
tiene
alto il coefficiente di correlazione
tra i
vivi e
i morti.
***
Non
risposero
all'appello
ma la
loro
assenza
non
provocò
domande
semplicemente
si stette
ad
ascoltarne
l'eco del nome
come
davanti
la lettura
di un
testamento.
***
C'è
qui –
mentre le voci dei bambini
impollinano
il tempo – come una nostalgia
simile a
quella che del corpo hanno i morti.
Acqua
acqua
fuoco fuoco - giocano
a chi
trova
ciò che è nascosto
un gioco
che
durerà ancora,
a lungo.
***
Ci metto
il
nome
qui dove
di
me c'è spartizione
di me e
dell'opera delle mie mani
che
rifà
giardino il nostro abitare terreno
e del
canto
un consolare l'angelo
posto di
guardia obbediente e stanco
di tanto
nostro non tentare
di
rientrare.
***
Scrivo
di
nascosto da Dio
che
nella
bocca voglio parole mie
e niente
niente
nel
passaggio
dalla fronte
alle
dita
alla punta della penna
al suo
muoversi sul foglio
per mio
sentire altro
per
meditato silenzio
e pulsare di tempie
per il
mio
stare accovacciata
presso
lo
scavo con l'angelo geometra
e la sua
corda a misurare
quanta
benedizione c'è sulla terra.
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